indagine della Procura – .

TORINO. “Più affidi, meglio sei.” I bambini come numeri. Aumentare, gonfiare. Da scrivere in numeri nella griglia degli obiettivi a fine anno. I bambini come misura della performance.

C’è un rapporto sconcertante negli atti dell’inchiesta “Bibbiano bis”, Quello ha permesso alla Procura di Torino di aprirsi un mondo fino ad oggi poco conosciuto. La relazione di un ex dirigente dei servizi sociali, che oggi ha cambiato lavoro. «Non potevo più tollerare quello che vedevo», ha detto dopo la registrazione ai carabinieri che l’hanno ascoltata per ore insieme al pubblico ministero Giulia Rizzo.

Ciò che vide, e ciò che seppe, raccontò dettagliatamente: «Abbiamo sentito la pressione dei dirigenti. Lo volevano aumenteremmo le linee di creditoanche perché La casa famiglia era considerata il fiore all’occhiello del Comune di Torino. Mettono pressione sul nostro lavoro. Ce lo hanno detto più affidamenti riuscivamo a fare meglio stavamo. E a volte, per seguire questa logica, è capitato che fosse necessario bypassare o accelerare alcuni passaggi del percorso di affidamento. Questo è successo qualche volta.”

Come nel caso di due fratelli nigeriani, allontanati dalla madre e dati in affidamento – «dopo un solo colloquio», rivela un altro testimone – a una coppia di donne. “Una è un’educatrice, una collega, la sua compagna è una poliziotta”, questo è quanto ha rivelato un secondo dipendente del Comune di Torino. Ha aggiunto: “Non c’erano regole per superare i problemi di conflitto di interessi”. Quindi c’era una corsia preferenziale per avere un figlio in affidamento se si lavorava nel mondo dei servizi? È il sospetto della Procura di Torino. Il dipendente, intervistato nel 2021, precisa: «Nel caso dei due fratelli africani la situazione è sfuggita di mano. Tutti i passaggi vengono saltati. In Nigeria l’omosessualità è punita. I genitori non sapevano che la coppia di genitori adottivi erano due madri. Avrebbero avuto il diritto di sapere, come prevede la regola. Nessuno ha detto niente”.

C’è stato un momento, dalla fine del 2007, in cui la cosiddetta “ansia da prestazione” di raccogliere “cifre elevate in affidamento” avrebbe raggiunto il suo livello massimo. Lo conferma la stessa testimone: «In quel periodo il Comune di Torino aveva inserito in busta paga un cartellino per informare i dipendenti sulla possibilità di affidamento di minori”. Avevano bisogno di numeri. Quindi ne è valsa la pena, anche la pubblicità con la busta paga.

Ieri, per la prima volta nella recente storia giudiziaria di Torino, un giudice – Stefano Sala – ha usato parole dure nei confronti del sistema. Nelle motivazioni della condanna delle due madri affidatarie dei fratelli nigeriani e dello psicoterapeuta Nadia BologniniEx moglie di Claudio Foti, coinvolta e poi assolta nel processo sul presunto affidamento illecito di minori a Bibbiano, in Emilia-Romagna, il gip ha scritto: «È fondamentale evidenziare che le indagini hanno portato alla luce quello che si è rivelato essere il prodotto fallito di un sistema pubblico di cura e tutela dei minori, che non è riuscito a tutelare pienamente – e in termini minimamente accettabili – il benessere psicofisico di due persone. bambini nei primi anni di vita». Il pm Giulia Rizzo aveva indagato e chiesto il processo nei confronti di altre sei persone che lavorano nei servizi sociali di Torino. Le loro posizioni sono state archiviate. Ma, come scrive il giudice, ci sarebbe un “sistema pubblico fallito” dietro la gestione dei bambini in difficoltà.

La vicenda è iniziata nel 2013 e riguarda l’affidamento – pilotato, secondo le ipotesi della procura – di due fratelli africani. I più piccoli lo sarebbero stati indotti a ritenere di aver subito abusi sessuali al fine di ottenerne l’allontanamento definitivo dal nucleo familiare di origine. Falsificazione, abuso d’ufficio, frode procedurale, accesso abusivo a un sistema informatico e truffa in danno dei genitori biologici e del Comune di Torino, le ipotesi di reato della Procura.

L’udienza che ha dato la svolta alle indagini risale al 26 gennaio 2021. Un addetto dell’area minori, che diventerà uno dei testimoni chiave, racconta: «Mi sono sentito castrato in alcune scelte. Sono stato indotto ad adottare alcune soluzioni. Tutti riguardavano l’allontanamento dei minori dalle loro famiglie. La tendenza è vedere gli abusi anche dove non esistono. Molte persone lo sanno. Eppure i gestori dei servizi sociali, che sanno, non se ne sono occupati. Ci sono stati casi in cui è avvenuta una lettura forzata dei sospetti di abuso sessuale. Ma una volta disposto l’allontanamento è difficile tornare indietro”

 
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