le ragioni Il Tirreno – .

GROSSETO. Nel novembre 2019, Michele Rossi disse Ape era andato a manifestare davanti al municipio per chiedere alloggio, dopo che i suoi mezzi erano stati sfrattati da via Giordania. A quell’episodio sono seguiti articoli di cronaca, che sono stati anche oggetto di commenti. Alcuni di questi non erano stati apprezzati da Ape, che aveva intentato una querela per diffamazione. Quattro grossetani sono stati ora condannati dal giudice Marco Bilisari a 500 euro ciascuno e a dover risarcire Rossi con 1.500 euro ciascuno, oltre alle spese di costituzione di parte civile (avvocato Filippo Maria Bougleux).

Cos’era successo

Rossi si era incatenato davanti al municipio: “Voglio un posto dove vivere, mi hanno tolto la dignità” ha detto accompagnando le sue dichiarazioni con un cartello e le sue ragioni sono state poi ascoltate da Fausto Turbanti, consigliere comunale polizia in quel momento. Il Comune ha poi ricordato di aver fornito, tramite Coeso, a Rossi vitto e alloggio in una struttura ricettiva alla periferia di Grosseto. Coeso gli aveva fornito anche un piccolo contributo economico e si era assicurato di sostenerlo con tutti gli strumenti a disposizione del settore sociale.

commento

Quali commenti sono stati oggetto del procedimento penale? Diego Nocciolini (difesa Massimiliano Arcioni) aveva tra l’altro osservato che Ape non avrebbe mai lavorato in vita sua e che non avrebbe pagato le tasse. Alessio Arezzini (avvocato Alberto Vannetti) aveva accusato Rossi di vivere delle spese dell’azienda. Luca Riverdora (avvocato Carnicelli) aveva equiparato l’utilizzo del terreno agricolo effettuato da Ape a quello di una discarica a cielo aperto. Gerardo Scarano (avvocato Fabrizio Rossi) di non aver mai pagato le tasse e altro.

Nella classe

Ape aveva detto in tribunale, tra l’altro, di essere stato vittima di dichiarazioni non vere, di essere diventato bersaglio di haters che avrebbero denunciato cose per sentito dire senza aver effettuato le opportune verifiche. Secondo il giudice, quanto scritto sui social, se anni fa era mai stato tollerabile nelle chiacchiere da bar, cioè in un piccolo gruppo, non è tollerabile su internet. Le vicende personali di Rossi, la sua condizione psicologica di quel periodo e la sua decisione di incatenarsi per chiedere alloggio, magari in un appartamento di edilizia popolare, non costituiscono ragioni per giustificare commenti di quel genere. In altre parole, farne oggetto di derisione è motivo sufficiente per condurre ad una condanna, dato che non sarebbero stati osservati i termini della continenza e del rispetto della verità storica dei fatti. E che in ogni caso, anche se i termini usati sui social sono diventati troppo forti, c’è ancora bisogno di una barriera giuridica di tutela.

 
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