Estorsioni a Ragusa, chieste condanne a 56 anni – .

Estorsioni a Ragusa, chieste condanne a 56 anni – .
Estorsioni a Ragusa, chieste condanne a 56 anni – .

Concussione a un ristoratore di Scoglitti, nel Ragusano: il pubblico ministero ha formulato le richieste di condanna al termine dell’arringa di chiusura: 15 anni e 12.000 euro di multa ciascuno per GBattista Ventura e Rosario Nifosì; 16 anni e 14.000 euro di multa per Angelo Ventura (figlio di GBattista); 17 anni e 15.000 euro di multa per Massimo Melfi; 8 anni e 6.000 euro di multa per Marco Nuncibello per tentata concussione. Tutte le condanne richieste sono state aumentate per l’aggravante di essere state compiute con modalità mafiose e con recidiva.

I fatti contestati riguardano una serie di estorsioni compiute dal 2014 (ad eccezione del 2015 perché il ristorante era chiuso), fino al 2020 quando il ristoratore, esasperato, ha denunciato il ‘gruppo’. Le indagini sono state svolte dai carabinieri del Nucleo investigativo provinciale di Ragusa, con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Catania. L’udienza di ieri davanti al tribunale collegiale di Ragusa (presidente Frizilio, accanto a Manenti e Rabini) si è aperta con le dichiarazioni spontanee di Melfi, che ha sostenuto di non aver compiuto alcuna estorsione ma di aver chiesto i soldi che il ristoratore gli aveva dato in quanto dovuti per prestazioni sanitarie che lui stesso avrebbe erogato al suocero del ristoratore.

Il pubblico ministero della DDA Alfio Gabriele Fragalà nella sua requisitoria ha ricostruito i singoli episodi secondo quanto emerso dalle indagini e nel corso del dibattimento: “un processo rapido e intenso,” contro “materiale probatorio coerente e solido”. Anticipando la difesa, ha sostenuto che l’ipotesi della richiesta di pagamento delle somme dovute a Melfi per cure sanitarie al suocero del ristoratore, costituirebbe una “versione incredibile ed incoerente”; se si fosse trattato di un legittimo credito, la proposta di risarcimento danni avanzata da Melfi alla parte civile in apertura di processo, non avrebbe avuto ragione di esistere. Sottolinea poi l’affidabilità delle parti offese, marito e moglie, che si sono costituiti parti civili nel processo insieme alla Rete per la Legalità Sicilia; coerenza, convergenza, linearità nelle testimonianze, nonostante i “pesanti controinterrogatori” da parte dei legali degli imputati.

Poi è passato a descrivere nel dettaglio gli episodi contestati; tutto è iniziato quando GBattista Ventura (che il pubblico ministero ricorda come “già nel 2010 esponente di spicco dell’omonimo clan Ventura, articolazione del clan Carbonaro Dominante appartenente alla stidda vittoria”) nell’agosto 2014 si recò nei locali del ristoratore e iniziò una lite per questioni futili, che stava per degenerare. A quel punto, ricostruisce l’accusa, Melfi intervenne come ‘pacificatore’, recitando la parte del “buon amico” e consigliando sostanzialmente al ristoratore di dare a Ventura 1000 euro, temendo il rischio che i locali venissero incendiati e che la sua famiglia potesse essere in pericolo. Il ristoratore pagò.

Inizia un’“abitudine” che si ripete ogni anno (tranne nel 2015) intorno a Ferragosto e che vede la presenza costante di Melfi, la richiesta di denaro spesso accompagnata da consumazioni non pagate e giustificata in ultima analisi dalla richiesta di copertura delle spese Covid e dal sostegno del ‘gruppo’ e dai colloqui in carcere, “un detonatore per marcare l’effetto intimidatorio”. Nel 2020 il commerciante non ce la fa più e chiama la polizia; 5 richieste estorsive in pochi giorni. L’ultima sarà un tentativo di estorsione.

 
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