KVADRAT – L’orribile dissonanza dell’oblio – .

KVADRAT – L’orribile dissonanza dell’oblio – .
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votazione
8.0

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Forse, come dimostrato anche dalla svolta dei maestri indiscussi Ulcerate, il cosiddetto genere death metal dissonante ha bisogno di sperimentare e cercare nuovi modi per restare attuale e non finire con le spalle al muro in un vicolo cieco di astrusità, pseudo -elitarismo e idee secondo le quali, sotto la patina di innovazione, ora sanno ciò che hanno già sentito.
L’alternativa – va da sé – non può che aprirsi alla melodia, al distillato di un suono in cui le caratteristiche del genere, prima codificate dai Gorguts di “Obscura” e poi esplose a livello sotterraneo grazie al I lavori di Portal e del già citato trio neozelandese, evitano di torcersi e infittirsi secondo l’andamento di un loop continuo, abbassandosi progressivamente nella fonte dell’armonia per dare al loro discorso una sfumatura più emotiva e intelligibile, ma non per questo meno complessa.
A questo proposito, in attesa che “Cutting the Throat of God” spazzi via la scena, una preziosa implementazione di quanto appena scritto e suggerito ci viene regalata dai Kvadrat, one-man band di Aspropyrgos, Attica, capace di celebrando il traguardo dell’album d’esordio sulle ali di una autorevolezza e sensibilità rare, collocando nei sette, densi capitoli della raccolta un cantautorato che sa già di eccellenza. D’altronde non parliamo di un progetto estemporaneo o che si è trovato in questa posizione precipitosamente, ma piuttosto di una creatura musicale nata nel 2015 e che solo tre anni fa si sentiva sufficientemente pronta e matura per affacciarsi sul mercato (Bandcamp ) con una demo, un EP e uno split, rivelando subito una metodologia accurata e uno stile che immaginiamo tranquillamente affinato nel tempo.
Non è un caso, insomma, che questa prima fatica a distanza sia stata realizzata da Nuclear Winter di Anastasis Valtsanis, leader dei Dead Congregation; l’etichetta greca è da sempre un ottimo talent scout e, dopo l’exploit di “Abyssgazer” degli Aphotic, torna ad esplorare registri sperimentali con un lavoro in cui la tensione verso la dissonanza si fonde con momenti di stasi, sfugge arie improvvise e maestose quasi come se l’insieme volesse elevarsi a processo regressivo, a formula di dipanamento dell’inconscio e della realtà onirica, dimostrando grande cura sia dal punto di vista formale che contenutistico.
Una base è senza dubbio fornita da capolavori come “Shrines of Paralysis” e “Stare into Death and Be Still”, quelli cioè in cui Jamie Saint Merat e compagni introducevano e sdoganavano la melodia nelle loro dissertazioni avanguardistiche, ma giustamente consapevoli di non avere i mezzi giusti per sfidare certi titani – Kvadrat sceglie qui di non fare il passo più lungo della gamba e mantenere comunque il contatto con la corrente death metal statunitense che lo ha svezzato e cresciuto, dando il via alla scuola di Hate Eternal, Morbid Angel e Nile a rivelarsi attraverso una serie di riff e ritmi dal ritmo potente e feroce, in quello che potremmo definire un dialogo continuo, inquieto e spontaneo tra le due tipologie di registri.
Dai cinque minuti dell’opener “Υπόγειος λαβύρινθος”, si avanza come se ogni passaggio della tracklist fosse la proiezione di una precisa immagine mentale, spesso senza fiato per la saturazione e la grandiosità delle atmosfere, con le chitarre che si contraggono e si rilassano sul bordo di un movimento orchestrale e la batteria che, colpo dopo colpo, sembra intenta a scavare un tunnel nella psiche, evocando anche l’ultimo Deathspell Omega quando l’impianto vira verso il black metal più altezzoso e lisergico. Poi, quando, sul finale, le note del synth cominciano a cadere come gocce di pioggia fredda sulla pelle (“Ολική αποσύνθεση”), la sensazione che “The Horrible Dissonance of Oblivion” sia un lavoro sopra le righe diventa certezza, pienamente abbracciando un’atmosfera cinematografica e ha finito anche per suscitare applausi.
Una delle vere sorprese di questo inizio 2024, per quanto ci riguarda, che colloca il giovane IA (questo il nome dell’artista dietro i tre quarti d’ora dell’album) come uno dei personaggi più concreti e seguaci credibili del circuito. Vedere per credere.

 
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