Chi è Dario Amodei, l’italoamericano che fa paura a ChatGPT (ma piace a Google)- Corriere.it – .

Chi è Dario Amodei, l’italoamericano che fa paura a ChatGPT (ma piace a Google)- Corriere.it – .
Chi è Dario Amodei, l’italoamericano che fa paura a ChatGPT (ma piace a Google)- Corriere.it – .

Dario e Daniela Amodei. Imparate questi nomi: sono due fratelli italo-americani di San Francisco che tutte le aziende della Silicon Valley vorrebbero con loro. È lui il genio: Stanford, Caltech, Princeton. Ha studiato fisica con un vivo interesse per il funzionamento del cervello nelle migliori università americane. La sua tesi di dottorato a Princeton gli è valsa il premio della Hertz Foundation. Ha lavorato per Google Brain e Baidu (la versione cinese di Google) dove ha sviluppato Deep Speech 2, un sistema di comprensione del parlato umano premiato come una delle tecnologie rivoluzionarie nel 2016 dal MIT di Boston. Ha pubblicato articoli considerati pietre miliari nella nuova industria dell’intelligenza artificiale, a partire da Problemi concreti nella sicurezza dell’IA. La sorella Daniela (il padre si chiama Riccardo), segue a ruota. Ha sempre lavorato con lui. Spesso hai anche co-firmato gli stessi documenti.

Ciò che sta alimentando è una vera gara AI nel 2023. Ma è necessaria una piccola spiegazione. Non stiamo parlando di uno sviluppo generale, ma di un particolare sistema definito PNL, elaborazione del linguaggio naturale. In sostanza si tratta di un sistema che, per avvicinarsi al linguaggio naturale di noi umani, cerca dopo ogni parola la combinazione più probabile, in base alle indicazioni ricevute. Ecco perché gli chiediamo di scrivere come Hemingway simula il suo stile. Ed è per questo che fallisce in matematica: non è fatta per questo. Esistono altri rami dell’albero dell’intelligenza artificiale, come quello delle immagini che ha sviluppi potenzialmente più importanti (ad esempio nelle immagini diagnostiche per riconoscere un tumore in una radiografia o per leggere una TAC). O quella di DeepMind (che ha battuto Lee Sedol a Go ed è stata acquisita anche da Google). Ma anche questo di ChatGPT non è da sottovalutare: stiamo assistendo all’alba di una nuova interazione tra uomo e macchina, forse paragonabile all’invenzione del mouse di Douglas Engelbart nel 1970. Non a caso Google ha acceso il ‘rosso’ attenzione: siamo anche di fronte a un sistema di ricerca diverso che non offre un mondo di risposte dove il potere sta nella gerarchia (dominata dalla pubblicità). Qui la risposta è unica. Forse sbagliato, per ora, ma unico.

(Qui la puntata del podcast «Geni Invisibili» di Massimo Sideri dedicata all’intelligenza artificiale con Maria Chiara Carrozza del Cnr e Giorgio Metta dell’Iit, qui la serie completa)

Ma cosa ha di così speciale Dario Amodei? In linea con i mantra della Silicon Valley, non è interessato alla ricchezza (“non credo sia una buona motivazione e anzi tende a cambiare progetti e obiettivi”). Un dettaglio non secondario, come vedremo. Perché Dario è preoccupato per l’ingresso dell’intelligenza artificiale nella nostra società. Il suo ruolo in ChatGPT era la ricerca sulla sicurezza dell’IA, responsabile delle reazioni dell’IA. E non aveva apprezzato il massiccio investimento delle big tech dal 2020 (la scorsa settimana Microsoft ha aggiunto 10 miliardi in OpenAi).

In sostanza Amodei sta sviluppando le nuove leggi della robotica di Isaac Asimov ma per l’intelligenza artificiale. Sebbene praticamente sconosciuto al grande pubblico, fino ad ora è un nome molto rispettato nella comunità di esperti di Ai della Bay Area. Ma con un approccio originale. In una delle interviste rilasciate negli ultimi anni, Amodei ha raccontato un episodio accaduto quando era in Google Brain: un sistema di riconoscimento facciale di Google aveva studiato molte immagini, con il solito pregiudizio: troppi caucasici. Tra le immagini gli sviluppatori avevano introdotto anche quelle di alcuni primati. Risultato: partendo dal colore, il sistema aveva iniziato a catalogare le fotografie dei neri come “gorilla”.

“L’intelligenza artificiale non è razzista”, ha spiegato Amodei. Non ha abbastanza dati. Insomma, è più un problema di “ignoranza”, nel senso originario del termine, da ignorare. Che si tratti di intelligenza artificiale o umana, è evidentemente sempre valido un aforisma probabilmente apocrifo attribuito ad Albert Einstein: “La mente è come un paracadute. Funziona solo se aperto”. Amodei è ottimista e non lo nasconde (“l’intelligenza umana può vincere la sfida”). Evidentemente anche Google. Non ci resta che metterci in lista d’attesa per testare anche Claude, l’anti-ChatGPT.

 
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