Non riattaccare. La recensione del film – .

Liberamente ispirato al romanzo omonimo di Alessandra Montrucchio, pur con qualche incertezza narrativa è una felice incursione nel genere con un’ottima interpretazione di Barbara Ronchi. Da Biografilm

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Tutto in una notte. Roma, 28 marzo 2020 in pieno lockdown. Il telefono di Irene squilla. A chiamarla è Pietro, il suo ex, di cui non ha più notizie da quando si sono lasciati, sette mesi prima di lei. Vorrebbe riattaccare ma le parole confuse dell’uomo la allarmano. Decide quindi di mettersi in viaggio, verso Santa Marinella, per capire cosa sta succedendo.

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Si pensa subito a Tom Hardy Locke, ma la figura della protagonista è invece particolarmente originale nel modo in cui si trasforma in ‘creatura della notte’ in piena pandemia. Prodotto anche da Manetti Bros., Non riattaccare è una felice incursione nel noir sentimentale nonostante qualche incertezza narrativa, soprattutto nel momento in cui Irene viene fermata da due agenti alla stazione di servizio e nel finale. La dimensione buia con le strade deserte lo aveva già caratterizzato Tutte le mie nottiL’esordio al lungometraggio di Manfredi Lucibello, ma rispetto quel film fatto cinque anni fa Non riattaccare è un passo avanti decisivo per il regista. Grazie alla straordinaria interpretazione di Barbara Ronchi – che si conferma sempre più una delle migliori attrici del cinema italiano di oggi – il film di Lucibello gioca sul continuo scarto tra azione e dialogo, dove la prima sembra interrompere, o meglio sospendere, quando vengono in primo piano le conversazioni telefoniche tra Pietro e Irene. Lì scorre il flashback immaginario della loro vita: l’illusione della felicità, la casa al mare, Ginevra. Tutto scorre nel tempo della memoria. Il rimpianto, però, lascia il posto a una tensione sapientemente costruita con attenzione a dettagli che possono diventare decisivi: la caduta del sonno, il tunnel dove si può perdere il segnale, il viaggio senza documenti e soldi.

Liberamente ispirato al romanzo omonimo di Alessandra Montrucchio, Non riattaccare è la prova che basta avere l’intuito giusto e una buona idea per fare un buon film. Ha l’anima del cinema indipendente americano ma segue anche la lezione artigianale di registi come Badham (I minuti contano) e Donner (Solo 2 ore) per comprimere l’azione senza disperderla in dettagli inutili. Per gran parte dei 92 minuti del film c’è un solo personaggio sullo schermo. La voce/corpo di Claudio Santamaria è soprattutto la proiezione di un ricordo (come nelle foto su WhatsApp) mentre pochi incontri occasionali hanno l’effetto di un’allucinazione continua. Non riattaccare Diventa così l’esempio di un road movie sotto Covid che comincia finalmente a entrare nell’immaginario cinematografico come ambientazione efficace e pienamente funzionale al racconto.

La classifica cinematografica di Sentieri Selvaggi

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