L’Everest si scioglie e inizia la ricerca dei corpi – .

L’Everest si scioglie e inizia la ricerca dei corpi – .
L’Everest si scioglie e inizia la ricerca dei corpi – .


Non si sale più (solo) per raggiungere una vetta, ma per superarla. Non solo dai rifiuti ad alta quota, ma anche dalle vite stroncate lassù. Signori delle vette che, un passo prima, o un passo dopo, le conquiste più ambite hanno interrotto il loro cammino.

L’Everest e gli Ottomila sono ormai anche questo, nella grande danza degli scalatori che, due volte l’anno, “assediano” le loro pendici. Grazie ai cambiamenti climatici e alla stagione molto secca in Himalaya, il ghiaccio e le rocce stanno restituendo molti corpi. Una cordata è partita per recuperarli: parliamo di circa 300 persone che non sono mai tornate a casa e per ora la spedizione ha recuperato cinque corpi, tra rischi, scrupoli e tanta fatica, secondo Rakesh Gurung del Ministero del Turismo del Nepal, dirigendo l’operazione affidata ad Aditya Karki, maggiore dell’esercito a capo di una squadra di 12 soldati e 18 alpinisti.

“La maggior parte dei corpi – spiega Tshiring Jangbu Sherpa – si trova nella zona della morte, sopra i 7.500 metri, dove bassi livelli di ossigeno aumentano il rischio. Ci sono volute 11 ore per liberare uno dei cadaveri incastrati nel ghiaccio fino al torso, liberarlo con acqua calda ed estrarlo con un’ascia”. Con un budget di 600mila dollari, 171 guide e portatori hanno raccolto anche 11 tonnellate di rifiuti, tra tende, attrezzature, bombole di gas vuote che ingombrano la strada verso la vetta. L’area ricercata comprende anche il colle che divide l’Everest dal Lhotse e dal Nuptse.

Solo la scorsa stagione 20 persone sono morte in alta quota e non sono mai state trasportate a valle. Una situazione comune, spesso presa in considerazione in anticipo dagli stessi alpinisti: alti costi di recupero e trasporto; i rischi per un ritorno a casa postumo sono molto alti. Del resto è sempre stato così, fin da quella che forse è stata la prima ascesa sul tetto del mondo. Era il giugno del 1924 e George Mallory e Andrew Irvine scomparvero. Il corpo del primo fu ritrovato nel 1999. Oggi sono ancora alla ricerca del compagno e di quella macchina fotografica che potrebbe regalare loro il primato e toglierlo a Sir Edmund Hillary e Tenzing Norgay nel 1953.

Anche il K2 periodicamente racconta e restituisce tante storie di chi si è fermato lassù: nell’inverno del 2021, quello della prima invernale dei nepalesi, lì sono stati lasciati i corpi di tanti alpinisti che non ce l’hanno fatta. La stessa sorte è toccata a Tomas Mackiewicz sul Nanga Parbat nel 2018 e poi nel 2019 a Tom Ballard e Daniele Nardi. Ciò che a bassa quota può sembrare incomprensibile quanto macabro si fonde con il senso della vita in queste terre d’alta quota, già un anticipo di paradiso anche quando si rivelano un inferno. È così che tanti enti sono diventati, negli anni, rispettosamente, punti di riferimento della scalata stessa.

È il caso di “stivale verde” e/o “bella addormentata”, un indiano non identificato, morto nel 1996, e di Francys Arsentiev, il primo scalatore americano a scalare senza ossigeno. In qualche modo anche oggi continuano la loro perenne salita da lassù, aiutando gli altri a non perdersi.

 
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