Bologna Social Forum, nuovo inizio per il diritto all’abitare – Sbilanciamoci – .

Bologna Social Forum, nuovo inizio per il diritto all’abitare – Sbilanciamoci – .
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I fondi e le piattaforme immobiliari impongono alle città un modello abitativo e, con l’aumento degli affitti, fanno praticamente scomparire gli alloggi in affitto a prezzi accessibili. Per i diritti sociali, per le città che siano solidali e non siano indifferenti alle nuove povertà, dal 18 al 20 aprile a Bologna il Social Forum sul diritto all’abitare.

In poco meno di 30 anni il nostro Paese ha sostituito un diritto alla casa potenzialmente capace di garantire un alloggio a chi ne ha bisogno, indipendentemente dalla sua condizione reddituale, con un modello sociale rivolto esclusivamente a chi può permettersi di comprare una casa o di pagare assurdi prezzi di mercato affitti. Le conquiste del 900, che avevano fatto fare un balzo in avanti all’Italia in termini di garanzie costituzionali e di diritti sociali, sono state progressivamente cancellate, restituendo il controllo della più importante modalità di inclusione alla proprietà immobiliare – diventata finanza e previdenza. : alloggio. Per un assurdo gioco dell’oca stiamo tornando al punto di partenza, quando i poveri dormivano sui marciapiedi e nei sagrati e le baraccopoli infestate dai topi e la povertà circondavano le città, dando rifugio a chi non poteva pagare “l’affitto” in un ambiente di i tanti edifici cresciuti come funghi nel dopoguerra, o da coloro che ne furono sfrattati per aver perso il lavoro. Ma avevamo alle spalle una guerra, un conflitto mondiale che aveva ridotto il Paese in macerie, completando ciò che il fascismo aveva già fatto in termini di libertà e diritti collettivi. Quale nuovo catastrofe È lui il responsabile di questo tragico ritorno al passato? E come ne usciremo questa volta?

L’attuale crisi abitativa che imperversa in Europa come in America, pur essendo disastrosa per la vita di milioni di persone, non è il risultato di eventi di carattere straordinario o fuori dall’ordinario, ma esclusivamente dello strapotere dell’economia e della finanza che hanno minò le amministrazioni statali, riducendo la funzione pubblica a poco più che una finzione teatrale. I fondi immobiliari e le piattaforme digitali come AirBnb hanno occupato quasi completamente il patrimonio immobiliare, imponendo alle città un modello abitativo rivolto alla fascia alta del mercato, determinando, insieme all’aumento degli affitti, la virtuale scomparsa degli alloggi in affitto per le famiglie normali . Se solo qualche anno fa trovare un affitto a prezzi sostenibili era difficile, oggi è diventato impossibile e le misure di sfratto hanno nuovamente superato i livelli pre-pandemia: 30mila esecuzioni con la forza pubblica nel 2022, ovvero 150 famiglie al giorno gettate in strada , senza che vi sia un intervento pubblico che si faccia carico delle fragilità economiche, sociali e sanitarie.

Una situazione drammatica divenuta tale anche perché la pubblica amministrazione, invece di operare in controtendenza – come giustamente ci si sarebbe aspettati – aumentando l’edilizia pubblica e sociale e approntando politiche capaci di controllare gli affitti, ha agevolato questo processo diminuendo progressivamente i costi pubblici intervento sulle politiche abitative, taglio dei fondi per contributi affitto e mora non colposa insieme al reddito di cittadinanza e vendita di parti importanti dell’immobile residenziale. In pratica, abbandonare il campo, disertando una funzione che la Repubblica assegna alle istituzioni, delegando il governo delle politiche abitative alla proprietà immobiliare e finanziaria. Oggi l’Italia è tra i Paesi europei dove la spesa per l’edilizia pubblica e sociale è più bassa (6 euro pro capite contro una media Ue di 146 euro), gli esercizi pubblici sono il 4% del totale (contro una media Ue del 20%) e gestiscono intercettare solo il 5% delle domande in classifica, lasciando fuori circa 1,4 milioni di persone.

Un processo che – è bene ricordarlo – è avvenuto con il consenso o il tacito assenso della maggioranza delle forze politiche parlamentari, conquistate all’idea del mercato come “unico regolatore sociale”, che giustificava tagli e definanziamenti della spesa pubblica . Un’egemonia culturale diventata rapidamente l’alfa e l’omega in ogni ambito delle politiche statali: dalla sanità, all’istruzione, alla previdenza, alle politiche sociali, al mercato del lavoro.

Il risultato è davanti ai nostri occhi: la povertà abitativa è diventata un tratto caratteristico delle periferie urbane che sempre più rappresentano – in termini di estensione ed esperienza di vita – la forma stessa delle città contemporanee. Ai centri storici e alle zone signorili costellate di alberghi e case per il turismo d’élite eovertourismin cui si concentrano servizi e funzioni urbane di valore, si contrappongono ai quartieri pubblici e ai margini urbani destinati agli schiavi della globalizzazione: i commessi, i cuochi, i cavalieri che lavorano per il ricco centro e per la massa di disoccupati e precari costretti ad arrangiarsi per vivere, spesso come forza lavoro per il narcotraffico. Senzatetto e le case di cartone hanno ripreso a segnare lo spazio urbano, anche a causa del nomadismo a cui sono costrette dalle operazioni di sgombero delle forze dell’ordine.

Solo a Roma si stima che siano quasi 20mila le persone che vivono permanentemente per strada, in auto o in rifugi di fortuna, 100mila in tutto il Paese. Si tratta per lo più di migranti e giovani, ma anche di pensionati, donne sole, ex lavoratori ridotti in povertà da un evento traumatico. Sono l’aspetto più evidente di una precarietà abitativa molto più diffusa che colpisce sempre più persone: anziani soli, single con contratti di lavoro precari, madri e padri con figli a carico, giovani coppie, studenti fuori sede. Soggetti che non vivono situazioni di grande marginalità, che un tempo avremmo considerato facenti parte del ceto medio ma che la mancanza di un’abitazione accessibile porta ad una situazione di povertà e insicurezza esistenziale. Accanto a loro ci sono le persone escluse dal mercato formale, in particolare i lavoratori migranti, spesso senza le qualifiche formali e i risparmi necessari per accedere al mercato degli affitti. I dati ufficiali dicono che su 5 milioni di famiglie che vivono in affitto, quasi 1 milione sono famiglie in povertà assoluta e altrettante sono in povertà relativa che riescono a pagare con difficoltà l’affitto, mentre secondo l’Istat sono 5,6 milioni gli italiani in affitto. condizioni di estrema povertà.

Non possiamo abituarci a tutto questo. Stiamo pericolosamente scivolando verso la scomparsa di ogni forma di relazione sociale, di responsabilità collettiva, di solidarietà. Il punto di non ritorno è sempre più vicino, spinto e culturalmente giustificato anche dalla guerra che è tornata a segnare il continente europeo e il Medio Oriente, avvelenando il dibattito pubblico con la cultura dell’odio e del razzismo sociale. Dobbiamo iniziare a immaginare un futuro diverso per noi stessi e per le generazioni future, un futuro per il quale valga la pena lottare. Serve una nuova idea di città, un nuovo modello di sviluppo urbano che metta al centro le persone, le comunità e i luoghi perché abitare non è solo casa ma anche servizi locali che migliorano la qualità della vita. Serve una rigenerazione urbana e sociale che riqualifica ad uso residenziale e sociale il patrimonio pubblico e privato dismesso, soprattutto a partire dalle periferie e dai complessi di edilizia popolare che devono essere restituiti alla loro funzione sociale. Occorre frenare lo strapotere del libero mercato e degli affitti brevi per aumentare gli alloggi a costi sostenibili e prevenire il dilagare degli sfratti. Occorrono politiche che promuovano l’inclusione e la coesione sociale, aumentando le opportunità di lavoro e le occasioni di aggregazione sociale. Dobbiamo trasformare il welfare di servizio in “welfare di comunità”, basato sulla solidarietà, sulla cooperazione sociale e sul mutualismo. Dobbiamo restituire le prerogative di scelta nelle mani dei cittadini con una nuova architettura istituzionale che integri partecipazione popolare e pianificazione dello spazio urbano.

Per questo ci siamo dati appuntamento a Bologna il 18, 19 e 20 aprile presso il Das, con l’obiettivo di riannodare i fili di una cooperazione sociale interrotta con effetti disastrosi dal punto di vista dei costi umani e delle prospettive di vita. L’idea con cui si incontreranno sindacalisti, attivisti del movimento, operatori della cooperazione sociale, volontari delle associazioni, studenti, professori universitari e ricercatori del settore è quella di dare vita ad una nuova stagione del diritto all’abitare in cui il ruolo di governo della collettività si coniuga con un nuovo modello di politiche della casa che risponde ai bisogni sociali, innovando il concetto stesso di “funzione pubblica” attraverso politiche e strumenti capaci di garantire l’accesso all’abitazione e un sistema di relazioni sociali moderno e inclusivo.

Ci siamo convinti che fosse necessario fare questo passo importante perché ciascuno di noi ha sperimentato nei propri territori la difficoltà di affrontare da soli la pervasività di un potere immobiliare e finanziario che si muove nello spazio della globalizzazione, con mezzi enormi che dominano il governo delle città. Ciò di cui abbiamo bisogno è un salto di scala, un’alleanza sociale tra città e territori che metta insieme la battaglia per un nuovo diritto all’abitare e una migliore qualità della vita.

Fabrizio Nizi fa parte di Action Diritti in Movimento/SpinTime Labs, Roma

 
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