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«Che rabbia verso lo Stato per averti seppellito con la tua lunga barba» – .

«Ancora non riesco a credere di non poter più perdere a carte con te. Che non potrai conoscere il tuo pronipote, che si chiamerà Vincenzo, come te”. Così Nino Morana, nipote di Vincenzo Agostino, ha voluto ricordare nella cattedrale, a Palermo, al termine del servizio funebre, il nonno Vincenzo Agostino, padre dell’agente Nino, ucciso da Cosa Nostra insieme alla moglie incinta, Ida Castelluccio, il 5 agosto del 1989. «Oggi non è solo dolore, ma è anche rabbia verso lo Stato italiano – sottolinea il nipote – per averti seppellito con quella tua barba bianca, senza aver raggiunto la verità che a lungo cercavi. Ma la tua lotta non finisce qui – ha detto – continuerò il tuo cammino e la tua battaglia. È una promessa, Vice, amico mio.”

Le parole scivolano tra le panchine gremite della cattedrale, silenziose e strette attorno alla famiglia. Tra i presenti anche il prefetto Massimo Mariani, il questore Vito Calvino, il procuratore generale Lia Sava, il presidente della Commissione regionale antimafia Antonello Cracolici, l’ex questore Renato Cortese, l’ex prefetto Antonella De Miro, il generale di divisione dei carabinieri Giuseppe Spina, del vice sindaco Giampiero Cannella e del presidente del consiglio comunale Giulio Tantillo.

«La lunga barba bianca di Vincenzo Agostino ha rappresentato per noi il segno di un’attiva e proficua resistenza alla mafia», ha sottolineato mons. Corrado Lorefice, che ha officiato la funzione, durante l’omelia. «Alle tante forme di male strutturato che osano eliminare – come lui stesso ha affermato – il bene di un figlio, di una nuora, di un bambino mai conosciuto – ha proseguito – che sterminano Nino, uomo onesto e prudente servitore dello Stato, la sua giovane moglie Ida e il figlio da loro concepito pochi mesi prima; insanguina le strade delle città, semina angoscia nelle case e nelle famiglie, pianifica depistaggi, compra silenzio e connivenza anche tra esponenti del potere politico e delle istituzioni statali”.

Lorefice paragona Agostino a una sentinella, che veglia «nella notte, l’uomo che penetra con lo sguardo le tenebre e attende con certezza – aggiungeva – lo irrompere della luce della verità che la superbia e l’arroganza degli uomini corrompono e posseggono- cercando credono di poter sopraffare. Ha instillato speranza. Ci ha chiesto di non addormentarci. Ci ha sfidato a non cadere nell’indifferenza che ci priva di responsabilità e a non abituarci al male. Quella barba e quei capelli bianchi che mettevano in risalto i suoi occhi pieni di luce nonostante l’oscurità, erano per noi un monito a rinnovarci, a restare svegli, a porre domande: Se vuoi chiedere, chiedi, convertiti, vieni”.

In tanti in preghiera attorno alla bara di uno degli ultimi monumenti antimafia, che ha poi ricevuto applausi all’uscita dalla Cattedrale. “Ha capito che l’omicidio di suo figlio è avvenuto nello stesso ambiente in cui sono avvenute le stragi – ha detto Roberto Scarpinato, ex magistrato e ora senatore della Repubblica – la sua barba lunga è quella di tutto il Paese” . Fuori dalla chiesa ci sono tanti striscioni: “Continueremo a cercare i burattini”. E ancora: «La giustizia trionferà».

 
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