“Quando ho iniziato non potevo avere così tante speranze. Pronti a lottare nei playoff” – .

“Quando ho iniziato non potevo avere così tante speranze. Pronti a lottare nei playoff” – .
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Giulia Arturi, per la Geas, sarà sempre un nome carico di significato. E storia. Ha vestito la stessa maglia dall’inizio della carriera, regalando al Sesto San Giovanni semplicemente tutto. E oggi, dopo vent’anni trascorsi sul parquet, è pronta ad affrontare gli ultimi playoff della carriera, che vedranno lei e compagne in campo contro il Campobasso. L’abbiamo raggiunta per un’intervista in cui c’è il basket, sì, ma non solo.

Com’è per te arrivare alla fine?

È stato un lungo viaggio. Tutte le cose hanno un inizio e una fine, mi sto godendo queste partite, questi playoff. Sono felice, anche se mi mancherà molto“.

E vi è piaciuto l’abbraccio del PalaNat al termine della stagione regolare.

È stato molto emozionante, tutti festeggiavano con i miei amici più cari, i miei compagni di squadra del passato. Ti dà un po’ la misura di tutto, ti dà un po’ il senso di quello che ho fatto“.

Per te, 20 anni abbondanti sempre con la maglia del Geas. Cosa ti ha spinto a non voler mai cambiare?

Quando a vent’anni salii per la prima volta in A1, poi abbiamo trascorso 4-5 anni nella massima serie. Poi quando siamo scesi in A3 l’obiettivo è diventato riportare la mia squadra dove meritava di essere. Da lì ogni anno è stata una nuova sfida. Non ho mai avuto rimpianti, era bellissimo così. Mai annoiato! Ogni anno un obiettivo, e questo mi ha spinto. Ed è una fortuna poter costruire così tanto in tutti questi anni, avere l’opportunità di fare qualcosa nel luogo in cui ti trovi“.

Di questi anni, quale è stato per te il più bello?

Questa è la classica domanda impossibile! Bellissime le tre promozioni, dalla A2 alla A1. Ma anche alcuni anni di A1, la finale di Coppa Italia che abbiamo fatto nel 2019. Sceglierne uno in cui condensare tutto è difficile“.

Anche perché da ognuno di essi si può trarre qualcosa di felice, di positivo.

Ogni anno, ogni stagione, tutto ha contribuito a costruire legami, relazioni, esperienze. Ogni anno ha portato a casa qualcosa“.

Cosa senti di aver dato al basket in questo percorso?

Il basket mi ha cresciuto come persona. Lo sport di squadra ti dà il senso dello stare con gli altri, cosa significa sacrificarsi, essere generosi, sapersi interfacciare con gli altri, arrivare da qualche parte. Cosa ho dato? Tutto quello che avevo, fisicamente ed emotivamente. Ci metto sempre tutto il cuore del mondo. Non mi sono mai trattenuto“.

Come vivi questa serie di playoff, sapendo che per te è l’ultima?

Come le altre, come una serie di playoff. Un po’ più speciale, sì, sarà dura lasciare qualcosa che ho fatto per tutta la vita. Un grande cambiamento, ma prima o poi va affrontato, al momento giusto. Li vivo con grande gioia. La speranza è di arrivare il più lontano possibile“.

Serie con Campobasso che è la meno scontata di tutte, viste le squadre vicine per valori.

In campionato li abbiamo persi entrambi, ma in Coppa Italia abbiamo vinto ai quarti. Tutte partite combattute, dure, difficili. Sarà una bella serie. Dovremo invertire il fattore campo, sarà una difficoltà in più. E non sarà facile, ma siamo pronti a lottare“.

Con una squadra che quest’anno ha dimostrato tante cose, perché ha unito talenti, sia stranieri che emergenti.

Alla fine è un lavoro di due anni, perché gran parte di questo gruppo parte da lontano. Quest’anno secondo me siamo migliorati rispetto allo scorso in tante cose. Nella solidità, nella costanza. Affrontiamo questi playoff su questo“.

La cosa che colpisce del Geas ogni anno è che in realtà i corsi biennali sembrano sempre continui, quasi pluriennali a mandato continuativo.

Vero. Ci sono molte persone che restano qui per un po’. Con cambiamenti mirati potete approfittare del fatto che vi conoscete da tempo, il che aiuta“.

Come hai visto il campionato che ha appena concluso la stagione regolare anche in riferimento a quelle precedenti?

Parlo di noi, perché rispetto all’anno scorso spesso siamo riusciti a giocare a viso aperto contro le big della serie A. Vedo sempre un buon trio davanti, ma i playoff sono i playoff. Ogni partita era difficile, un campionato davvero duro dove dovevi davvero prepararti bene e lottare ogni domenica“.

Abbiamo infatti visto il fatto che le squadre più in difficoltà all’inizio hanno recuperato e migliorato, tanto da mostrare risultati sempre meno netti.

Sono d’accordo. Campionato molto duro e competitivo“.

Hai sempre desiderato unire qualcosa di diverso, in questo caso l’attività giornalistica, a quello che facevi sul parquet. È stata una transizione naturale per te?

Sì, da quando ho smesso di studiare nel 2015 ho iniziato a lavorare. Dal 2018 sono giornalista professionista e ho seguito entrambe le strade. Poi ho privilegiato di più il basket in A1 perché è diverso giocare in A1 e A2 dal punto di vista temporale. Faccio entrambe le cose contemporaneamente ormai da 10 anni. Finirò con il parquet, continuerò con quello che ho costruito fuori dal campo“.

Hai sempre avuto molte collaborazioni avviate: avrai solo l’imbarazzo della scelta.

In realtà non sarà così semplice rimboccarmi le maniche e capire veramente qual è la mia strada, senza perdere la fiducia. Quindi lo farò“.

Inoltre non ti occupavi solo di basket.

Mi è capitato di fare anche altro, ho lavorato in tante redazioni. Non è solo il basket che mi appassiona nello sport. Mi piace lo sport in generale, da appassionato e dal punto di vista professionale“.

Un’altra domanda impossibile. Hai visto passare davanti ai tuoi occhi tanti giocatori forti, per molti questo è ad esempio Zandalasini da giovane. Quali hai visto che sono stati i più forti per te?

Ti direi Ticha Penicheiro, che ha giocato con noi nella stagione 2008-2009, e poi Jazmon Gwathmey che è ancora qui oggi“.

Gwathmey ti riporta alla mente anche il periodo in cui hai avuto tanti problemi di infortuni, che però hai superato con la forza del gruppo, il tuo credo principale.

Sfortunatamente, gli infortuni raramente ci hanno lasciato soli. Devi ancora scendere in campo e giocare. Ci sono altre risorse disponibili. Se manca qualcosa, costruiamo con qualcos’altro. O questo o niente“.

Il Geas viene spesso definito come un ambiente familiare. Quanto c’è di vero?

La testimonianza è che molti giocatori restano qui per diversi anni: è un posto dove la gente lavora bene, e dove giocatori e gente vengono e restano volentieri“.

Che rapporto hai avuto con Cinzia Zanotti in tutti questi anni?

Abbiamo condiviso tanti anni ed esperienze di ogni genere. Adesso non so nemmeno da quanto tempo mi allena, è tanto tempo! Abbiamo vissuto tutte le esperienze: A1, A3, salendo solo con le nostre forze, abbiamo fatto tutto. Questo è qualcosa che rimarrà per sempre“.

Curiosità social: su Instagram hai un cappello blu, che in inglese è cap. Esattamente capitano. Come è nato?

Mi chiamano tutti berretto! Inevitabilmente è arrivato il cappello“.

Te lo hanno mai fatto indossare nella vita reale!

No, nessun vero berretto! Solo virtuale“.

Con quali speranze hai iniziato il tuo percorso nel basket e quanto senti di aver ottenuto?

Quando ho iniziato a giocare non potevo avere così tante speranze. Ero una bambina a cui piaceva giocare con la palla. Piano piano ho capito cosa fosse il basket dal punto di vista umano. E anche se avessi immaginato qualcosa, non sarebbe andata così, perché era tutto troppo bello, oltre le mie aspettative“.

 
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