Voto cieco sul Def. L’Italia verso un lungo percorso di austerità – .

Voto cieco sul Def. L’Italia verso un lungo percorso di austerità – .
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La Def arriva in Parlamento e supera la prova del voto a vele spiegate. Un voto cieco. La scatola è mezza vuota e manca proprio ciò che conta di più: quanto e come può spendere il governo, la parte programmatica. L’altra metà, il lato delle tendenze, dovrebbe essere un’istantanea della situazione attuale, ma la foto viene ritoccata e l’immagine risulta distorta. Si prevede una crescita ridotta all’1% dal precedente 1,2%, per essere “prudenti”. Ma ci crede solo il governo italiano. Le previsioni, al di fuori del Mef, sono decisamente più basse, intorno allo 0,6%. Il tetto del deficit è passato dal 5,3% previsto dal Nadef al 7,45% ormai accertato. Il debito cresce invece di diminuire ma secondo i conti di Fitch, complice il disastro del Superbonus, rischia di impennarsi fino al picco del 142% e oltre.

MINISTRO GIORGETTI, visibilmente provato, difende la scelta di non indicare destinazioni e percorso: «È un Def realistico, conforme al realismo della Commissione europea. Abbiamo regole non definite e l’attesa è meglio dell’incertezza”. Il principale colpevole di una situazione così difficile, per Giorgetti, è il solito Superbonus, il “mostro anomalo” che “ha distrutto le finanze pubbliche quest’anno e negli anni a venire”. Non che abbia torto. Ma dovrebbe spiegarlo ai componenti della maggioranza che continuano a volere valanghe di esenzioni. Un’idea per evitare il tracollo la propone Fi, con un emendamento: spalmare i crediti d’imposta su 10 invece che 4 anni. L’unica alternativa sarebbe eliminare il bonus prima della scadenza fissata per la fine del prossimo anno. Un passo che nessuno nella maggioranza vuole rischiare.

Ma anche se per il momento la casella è vuota, bisognerà riempire la voce programmatica e per il governo inizieranno i guai. Il premier non vuole rinunciare all’estensione del cuneo fiscale e al taglio dell’Irpef: 15 miliardi di spesa. Tutto il resto è incerto. Le voci che nel Def vanno sotto la formula politiche invariate costano 20 miliardi che non ci sono e non ci saranno perché il Patto di stabilità è tornato in vigore e sta per mordere. Si stima che costerà altri 13 miliardi all’anno.

IL MOMENTO DELLA VERITÀ che Giorgetti “si aspetta” arriverà presto, il 19 giugno, quando la Commissione comunicherà, insieme alla già certissima procedura di infrazione per deficit eccessivo, la “traiettoria di ritorno” su deficit e debito. Su quella base governo e Commissione negozieranno il piano di risanamento, che dovrebbe essere di 4 anni ma può essere esteso a 7. L’Italia chiederà la proroga e la Commissione lo concederà ma bisognerà vedere a quale prezzo. Da quel momento, che lo si ammetta o meno, l’Italia inizierà un percorso di austerità piuttosto lungo.

LA VERA RAGIONE il motivo per cui la maggioranza ha deciso di non votare per il Patto di stabilità, nonostante fosse stato concordato con il governo italiano, è questo: nessuno vuole assumersi la responsabilità di approvare apertamente norme che peseranno prima sullo Stato ma poi e direttamente su coloro che vivono in quello Stato. Non ci sarà alternativa al taglio della spesa sociale e all’introduzione più o meno nascosta di nuove tasse. Giorgetti, amareggiato, difende la scelta di concludere quell’accordo, che è stata di fatto bocciata dagli eurodeputati della maggioranza e dal suo stesso partito: «È un compromesso. Non è la proposta che porto avanti da un anno e mezzo. Ma è un passo avanti rispetto alle norme che sarebbero tornate in vigore”. Ma poi va oltre: «Non è un patto su LSD, debito e lassismo dei sussidi. Per me il modello è ciò che ha reso grande questo Paese: sacrificio, investimento, lavoro”. Ma la maggior parte di lui non se la sente di firmare una formula che si traduce in Rigore e Austerità.

Romano Prodi è quasi d’accordo con il ministro: «È un compromesso e l’astensione non è un dramma». Ma “il passo avanti non è così grande”. Il Patto era stupido e resta stupido.

 
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