la campanella della scuola suonò per l’ultima volta… era il 1967, ricordo del passaggio dall’infanzia all’adolescenza – .

Ragusa – All’ultimo minuto dell’ultimo giorno di scuola è esploso il grido liberatorio, una sorta di inno alla libertà che saliva da dentro. NO! Non dal nostro cuore ma è venuto da qualcosa di più profondo: è venuto dalle nostre anime. Ciò che seguì fu una corsa folle, come quella di un branco infuriato che cercava di scappare. La libertà era il primo gradino della scala fuori dalla porta della scuola/università, oltre c’era la vita. Il sole di giugno e il cielo azzurro dai colori estivi hanno suscitato tanta gioia.

Dopo le prime mattine in cui tutti si riprendevano da quei risvegli difficili, da quelle specie di marce forzate verso quel campo di addestramento che chiamavano scuola, ci organizzavamo: Guglielmo portava le carte, Onofrio organizzava maniacalmente tornei di biglie e di scacchi, Giancarlo rispolverava il motorino di papà , Alberto sgranocchiava velocemente 5 noccioli di pesca per poter giocare a pugno, Gianni ripeteva aneddoti di avventure improbabili e Gian Paolo rispondeva con i racconti di uno zio capace di tutto, anche di non apparire mai, ma mai…

La nostra infanzia era finita… ma non lo sapevamo

La corsa al mercato che si è tenuta il mercoledì è stata un must. I sandali di plastica colorata erano parte integrante dell’abbigliamento estivo, insieme ai pantaloncini colorati e alle magliette con la pubblicità di questo o quel negoziante. Quei sandali di plastica ci permettevano di fare tante cose: servivano per correre, per fare il bagno nel fiume Irminio, per giocare a pallone. Sono riusciti anche a rigarci i piedi di sole in strisce che formavano una sorta di disegno tra il bianco del coperto e il nero dello scoperto, e alla fine della giornata ci hanno regalato uno sporco tesoro che è stato abilmente estratto dalle dita dei piedi. in fraterno aiuto con l’indice della mano. Il risultato era un pasticcio nero di terra appiccicosa dal sapore di sudore che si avvicinava sadicamente al naso e suscitava apprezzamenti di vario genere, quasi mai lusinghieri.

Il salotto buono, quello dove ci rannicchiavamo in cerchio, era l’angolo di palazzo Archi al mattino e l’angolo di palazzo “Cosentini” al pomeriggio, tutto era dettato dall’ombra che, una volta studiata, non tradiva mai . In quel bel salotto, di tanto in tanto, sedevano anche delle femmine, vicino al chiosco del padre di Pippo (nostro amico delle incursioni…) alcune avevano dei vestiti puliti, bianchi o rosa, altre erano vestite da ragazzi, ma noi pagavamo poco attenzione a Loro. Gli altri, i più grandi che avevano quasi 14 anni, quelli che ci prestavano attenzione e ci stupivamo di come osavano agire in modo audace. Si diceva che i più grandi avessero baciato alcune di quelle ragazze (beh non proprio quelle, più le loro sorelle che avevano più l’aspetto di donne adulte…) e che qualcuno avesse addirittura toccato la sua lingua contro la loro.

In effetti, per noi non erano necessari. Che ne sapevano di come costruire una capanna o di come cacciare i nidi dei merli, non sapevano nemmeno costruire un arco e nemmeno una fionda, non possedevano nemmeno un cane randagio. Alcuni però erano sempre sotto i suoi piedi, la chiamavamo “maschiaccio”, anche lei voleva fare delle capanne e riusciva ad arrampicarsi su alcuni rami bassi degli alberi, arrivava addirittura a rotolarsi con noi nell’erba. Glielo abbiamo lasciato fare e abbiamo notato che la sua pelle era più rosa della nostra e le sue forme erano più dolci delle sue. Alla fine qualcuno si innamorò di lei e lei diventò la ragazza della banda: dopotutto qualcuno doveva tenere pulito il nascondiglio!

Il ritorno a casa e la consapevolezza che domani sarà un altro giorno…

La luce del tardo pomeriggio ci indicava la strada di casa, eravamo guerrieri di ritorno da un combattimento… Masai che uscivano dalla savana… cowboy disarcionati da cavallo che tornavano mesti a casa. Alcuni avevano impressi sulla pelle i segni di eventi così duri: braccia graffiate, ginocchia sbucciate, punture di api e vespe… Per fortuna quasi nessuno era così contuso da non poter imbracciare nuovamente le armi il giorno dopo… sì, perché… lì era sempre un giorno dopo…

Non era facile essere bambini allora. A volte è stato molto difficile e abbiamo lavorato duro per cambiare il mondo. Come se fosse semplice. I giovani di oggi hanno bisogno di auspici di buon auspicio e di belle promesse. noi, ormai già “vecchi”, che eravamo giovani tanto tempo fa, osserviamo con meraviglia e tenerezza l’energia e l’audacia che dimostrano. Ma, con i tempi attuali, dobbiamo essere in grado di trasmettere loro le esperienze. I giovani, a loro volta, capiranno solo quando avranno compiuto il loro percorso esistenziale… (Battaglia Salvatore, Presidente Accademia Prefi)

 
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