Presentato a Foggia “Made in Immigritaly”, il 1° rapporto sui lavoratori immigrati nel settore agroalimentare – .

La ricerca è stata presentata oggi a Palazzo Dogana, sede della Provincia di Foggia Prodotto in immigrazione. Terre, colture, culture”, primo rapporto di ricerca sui lavoratori immigrati nel settore agroalimentare italiano. Il dossier raccoglie dati, analisi e proposte e approfondisce anche nove casi studio territoriali, con un focus sul foggiano con la raccolta del pomodoro nella cosiddetta Capitanata.

L’evento è stato accolto dalla Segretaria della CISL Puglia Valentina Donno, dalla Segretaria Generale della CISL Foggia Carla Costantino, dal Presidente della Provincia di Foggia Giuseppe Nobiletti, Don Pasquale Cotugno Direttore della Caritas di Cerignola – Ascoli Satriano.

Commissionato dalla FAI-CISL, il rapporto “Made in Immigritaly”, 511 pagine, è stato realizzato dal Centro Studi Confronti ed è curato da Maurizio Ambrosini, Rando Devole, Paolo Naso, Claudio Paravati. La ricerca esamina le modalità con cui il lavoro immigrato viene gestito in specifici contesti e analizza, oltre alle criticità, i diversi profili del fenomeno, compresi gli esiti più incoraggianti, frutto di meccanismi virtuosi di cooperazione, apprendimento reciproco, integrazione locale che vengono implementati sul posto di lavoro.

Nel saluto introduttivo, il segretario generale della Fai-Cisl Foggia Donato Di Lella ha ricordato come “in Puglia sono complessivamente oltre 156.600 i lavoratori immigrati, di questi 46.147 nella sola Foggia, con 31.324 uomini e 14.823 donne. Sono più di 60 gli insediamenti informali distribuiti in tutta la provincia. Il rapporto – prosegue Di Lella – aiuta a tenere accesi i riflettori sulle criticità ma evidenzia anche i progetti virtuosi come quelli avviati con la Caritas di Cerignola, con la Cooperativa Pietra di Scarto, con le nostre attività di “tutele in movimento”. Questo per mettere al centro la persona, creare buona accoglienza e integrazione, favorire la legalità e l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”.

Alessandra Vitullo, sociologa e ricercatrice presso l’Università La Sapienza di Roma, ha curato il caso studio nel foggiano. La presenza complessiva di lavoratori immigrati impiegati nell’agricoltura in Puglia costituisce il 21% e circa il 35% del totale regionale è concentrato nella provincia di Foggia. Stiamo parlando in particolare del territorio della Capitanata: un territorio molto vasto, con un’estensione di oltre 7.000 chilometri quadrati, dove l’agricoltura rappresenta l’attività predominante. Qui viene prodotto il 30% del pomodoro da industria italiano, oltre ad altre colture come broccoli, asparagi, olivo e uva. Tuttavia, la raccolta del pomodoro rappresenta chiaramente l’occasione occupazionale più importante per i lavoratori migranti, che nei mesi estivi – tra giugno e agosto – migliaia si riversano nei campi della Capitanata, per la raccolta che avviene in particolare nelle zone a nord di Foggia, tra San Severo e Apricena.

“In questo contesto – spiega Alessandra Vitullo – la ricerca si propone di analizzare le dinamiche economiche e sociali che si ramificano attorno alla rete del lavoro migrante. Dalle condizioni lavorative di sfruttamento alle condizioni abitative e sanitarie precarie, lo studio condotto attraverso interviste e una mappatura del territorio ha permesso di evidenziare sia le criticità che le possibili soluzioni da perseguire per migliorare le condizioni estreme di disagio in cui versano i migranti pagano i lavoratori agricoli della Capitanata; lavoratori che tuttavia rappresentano una parte fondamentale della produzione del pomodoro Made in Italy”.

Il dibattito ha visto l’intervento di Madia d’Onghia, docente di diritto del lavoro all’Università di Foggia. I lavori, moderati da Claudio Paravati, direttore del Centro Studi Confronti, sono stati conclusi dal segretario generale nazionale Fai-Cisl Onofrio Rota che ha ricordato come “gli immigrati che lavorano regolarmente in Italia sono circa 2,4 milioni, più del 10% degli occupati. In agricoltura il dato è più rilevante di questo valore medio, infatti gli stranieri occupati nel settore sono quasi 362mila, e coprono il 31,7% delle giornate lavorative. Continua ad essercene un grande bisogno – prosegue Rota – ma il decreto flussi non è collegato con il sistema delle imprese del nostro Paese. Basti pensare che la maggior parte dei bisogni sono in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, ma la regione che ha presentato più domande (300mila sulle 700mila disponibili) è la Campania. Da tempo come sindacato sosteniamo che il bilateralismo è la via privilegiata per creare un vero e proprio mismatch tra domanda e offerta di lavoro, garantire legalità, reale inclusione, lavoro giusto e sicuro. La vera sfida – conclude Rota – è rendere l’agroalimentare più attrattivo, e per fare questo occorre aumentare le tutele sociali, le competenze e i redditi”.

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