Conti pubblici in rosso. L’Italia entra nel tunnel della nuova austerità – .

Conti pubblici in rosso. L’Italia entra nel tunnel della nuova austerità – .
Conti pubblici in rosso. L’Italia entra nel tunnel della nuova austerità – .

Mentre gli Stati Uniti investono per sostenere posti di lavoro di qualità e decarbonizzare la propria economia, creando debiti e deficit elevati, l’Europa ritorna alle ricette fallite della stretta fiscale considerata la premessa per garantire gli investimenti e quindi la crescita. Questo paradosso, negato dall’austerità tra il 2007 e il 2015, è tornato attuale ieri. La Commissione Europea ha suggerito al Consiglio di aprire una procedura per infrazione di disavanzo eccessivo nei confronti di sette paesi, tra cui l’Italia. Il deficit italiano è il più alto in Europa, pari al 7,4% del prodotto interno lordo (PIL). Secondo la Commissione, nel 2024 scenderà al 4,4%, per poi risalire al 4,7% nel 2025.

PER AVVICINARSI AL SACRO Parametro del 3% – già definito “stupido” da Romano Prodi – il governo Meloni dovrà impegnarsi a tagliare lo 0,5% del Pil – pari a circa 10 miliardi di euro l’anno – a partire dalla prossima legge di bilancio. Non solo. La spesa sociale verrà bloccata. E questa è la condizione che probabilmente continuerà a strangolare un Paese stremato da un’austerità che non è mai finita. Si pensi alla carenza di personale nei servizi essenziali come la sanità. Questa è l’eredità della “vecchia” austerità che si è combinata con il congelamento strutturale dei salari, nel settore pubblico e privato, che continua dagli anni ’90.

CARENTE di crescita più che doppia rispetto a quella attuale, si procederà con tagli e privatizzazioni – che il governo Meloni ha già avviato. Obiettivo: ridurre anche il rapporto tra debito pubblico e Pil al 137,3% nel 2023. Bruxelles prevede un aumento rispettivamente al 138,6% e al 141,7% del Pil alla fine del 2024 e 2025.

PRESENTAZIONE Dopo il pacchetto di primavera del semestre europeo, ieri il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni ha invitato a non vedere le regole del nuovo “patto di stabilità” come un “diktat”. Per il prossimo settennio l’esecutivo Meloni, e quelli successivi, potranno “negoziare” un piano di risanamento. Secondo Gentiloni questa condizione è diversa. «L’austerità esiste quando durante una recessione viene imposto un ulteriore onere di restrizioni fiscali. Oggi però abbiamo regole più attente al ciclo economico ed evitano quindi di imporre misure severe”. Per dimostrare che oggi ci troviamo in un ciclo economico diverso, Gentiloni ha ribadito che l’Italia ha a disposizione gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): «Gli investimenti pubblici sono in aumento. Questa non è austerità”.

TUTTAVIA, Lo stesso Gentiloni ha recentemente affermato che non vi è alcuna certezza sugli effetti positivi del Pnrr sul Pil. Anche perché non è affatto sicuro che l’Italia riuscirà a spendere per intero i 194 miliardi di euro entro un anno e mezzo. E resta da vedere se, nelle condizioni restrittive che si stanno creando, questi investimenti avranno un effetto benefico sui conti.

E’ COMPRENSIBILE che Gentiloni vuole difendere l’equilibrio del suo mandato. Ma è difficile non nascondere che il patto di stabilità imposto alla Meloni & Co. si sta aggravando. Spingerà per un taglio fino all’1,5% del Pil per prepararsi alle prossime crisi (guerre, pandemie, crolli di ogni tipo). Gli intrepidi meloniani si sono accordati per tagliare il bilancio di 25,4 miliardi all’anno (se il processo di recupero dura 4 anni) o di 13,5 miliardi, se ne dura 7. I calcoli sono del centro studi Bruegel.

IL MINISTRO DIMESSO dell’economia Giancarlo Giorgetti ieri ha colto l’occasione per ribadire che è finito il “modello Lsd”, cioè “lassismo, sussidi, debito”. Al netto della violenza linguistica, Giorgetti intende giustificare il taglio della spesa sociale scaricando la responsabilità sui cittadini che non “producono” secondo i criteri stabiliti dal governo.

NON SOLO LA GABBIA È TORNATA, e il moralismo intollerabile dei libertari, ma ricompaiono anche le famose “raccomandazioni” di Bruxelles. E sono molto dettagliati. Sulle tasse, ad esempio, le politiche del governo Meloni vengono smantellate dalla destra. «I tagli al cuneo fiscale sul lavoro, legiferati solo fino al 2024 e finanziati con disposizioni temporanee, hanno una portata piuttosto limitata».

L’ESTENSIONE DEI REGIME Le politiche di flat tax, anche per i lavoratori autonomi, peggiorano l’equità orizzontale e l’efficienza del sistema fiscale riducendo la redistribuzione, favorendo specifiche categorie di contribuenti e scoraggiando la crescita delle imprese”. I condoni fiscali peggiorano l’equità tra i cittadini. Un duro colpo anche per le località balneari, lobby cara alla Meloni & Co. «Preoccupano i ritardi nell’attuazione di procedure di appalto trasparenti e concorrenziali». Chiesta anche la riforma del catasto che il governo non intende affatto affrontare.

ENTRO IL 20 SETTEMBRE il governo dovrà presentare il “piano di bilancio strutturale a medio termine”. A novembre la nuova Commissione stabilirà il percorso di ritorno. Da oggi entrerà nel vivo la trattativa politica più volte annunciata per ottenere alcuni sconti. Anche ieri Giorgetti ha chiesto di “tornare a discutere del patto di stabilità” che non va nella direzione auspicata. Il suo cambiamento è stata l’illusione venduta dalla destra alle elezioni europee. I costi degli annunci sono collettivi.

 
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