La sfida della Capitale. Roma parla, l’Italia ascolta – .

La sfida della Capitale. Roma parla, l’Italia ascolta – .
La sfida della Capitale. Roma parla, l’Italia ascolta – .

Tra mito e realtà, si potrebbe dire, i destini di Roma e l’Italia sono inesorabilmente intrecciati. E ogni tentativo di separarli, per calcolo politico o per avversione antropologica, si è rivelato irrealistico, spesso controproducente. Non c’è nazione senza mito fondatore e non c’è mito fondatore più forte dell’antica Roma: la sua visione geopolitica, la sua capacità militare, l’impronta innovativa che ha saputo dare alle sue istituzioni, la spinta creativa nel diritto, nella cultura e nella arti.

I l declino e la sostituzione di quel modello non ne ha intaccato l’attualità, permettendole di attraversare i secoli, quelli oscuri e quelli della rinascita, con il suo fascino. Il mito di Roma arrivò al Risorgimento italiano come suggello dell’unificazione politica e amministrativa del Paese, prima ancora della breccia di Porta Pia e dell’esproprio del potere secolare di Roma. Chiesache aveva ridotto la città a un nucleo anemico, punteggiato di pascoli e rovine. Lontano dal ruolo di capitale che la storia e i patrioti le avrebbero assegnato. «Ovunque c’è silenzio come un occhio, nessuno risponde se urli», scrisse Gioachino Belli.

Non possiamo permettere che due secoli dopo, se Roma urla, l’Italia resti sorda. Né che si perpetui una confisca di ruolo e di risorse, in nome di una moltiplicazione di centri che penalizza certamente questa città ma non aiuta il Paese a crescere, ancorandolo a una visione campanilistica che il processo risorgimentale ha faticosamente tentato di superare. Ogni volta che Roma ha preso slancio, questa energia si è irradiata verso la periferia, quasi come un effetto tellurico. Al contrario, quando una parte del Paese si è staccata dalla Capitale, ignorandone la funzione propulsiva o semplicemente guardando altrove, la vitalità e la coesione nazionale ne hanno risentito, perché Roma è il trait d’union di territorioeconomie, sentimenti, tradizioni. E lo è da un punto di vista geografico, senza dubbio, ma anche storico e in qualche modo identitario. Se non si comprende questo aspetto, manca una vera prospettiva unitaria, tanto più urgente ora che si impone la questione di un’ulteriore integrazione, quella europea. Non è pensabile che al tavolo delle grandi capitali sieda una capitale indebolita da logiche e calcoli interni, incapace di tenere testa a Parigi e Londra, Berlino e Madrid.

D’altro canto, Roma è chiamata anche a uno sforzo notevole, alla consapevolezza che il mito fondativo non basta a perpetuare il suo ruolo nel Paese e nel mondo, se non è accompagnato da una vera visione del futuro, che consenta di conciliare le vestigia con la modernità, la responsabilità della politica e della burocrazia con il dinamismo dell’imprenditoria, del terziario e della finanza, l’intelligenza della memoria con l’intelligenza artificiale. Serve insomma un sussulto di orgoglio e rivendicazione, perché Roma non può ridursi a una somma di sottrazioni. La narrazione distorta della Subura con zone libere e opache, non giustifica uno spoliazione a vantaggio delle altre aree produttive del Paese, una sorta di ritorsione moralizzante. Non è così. Una capitale efficiente, capace di irradiare una politica sana e di svolgere una funzione alta come quella di pubblica amministrazione in linea con le disposizioni costituzionali, è lo specchio di un Paese che funziona. Al contrario, una capitale delegittimata rappresenta un Paese meno credibile.

Nella vita di tutti i giorni i problemi di Roma si riducono alle buche, al traffico, ai rifiuti non raccolti, ma questa è una semplificazione, senza negare la necessità di tappare le buche e l’importanza della raccolta dei rifiuti. Intendiamo dire che il decoro urbano è elemento di un quadro più ampio, di un tessuto economico che funziona, di investimenti che non si interrompono, di flussi finanziari che non vengono deviati. Roma, quindi, ha pieno diritto di chiedere un risarcimento per le risorse che le vengono tolte, e ciò indipendentemente dal dibattito in corso sullo status e sui poteri speciali che (forse) verranno riconosciuti. Non mancano segnali di ricentralizzazione, primo fra tutti la direzione dell’ Pnrr, supervisionando la più grande allocazione di risorse dai tempi del Piano Marshall. Roma ha il compito di vigilare sull’attuazione del Piano, con poteri commissariali, paradigma di come le funzioni pubbliche della Capitale al servizio dell’Italia siano cruciali per la crescita collettiva, in termini di ricchezza, infrastrutture e modernizzazione del Paese. Dal successo del Pnrr dipenderà la nostra capacità di controllare il debito pubblico negli anni a venire e, in definitiva, la possibilità di alleggerire il peso sulle generazioni future. È una responsabilità che una capitale deve sapersi assumere, come l’organizzazione di grandi eventi, che facciano da volano per il sistema Paese, rafforzino il proprio peso a livello internazionale e formino una nuova classe dirigente. Roma, Italia: è da qui che bisogna ripartire.

 
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