«Ricordo la “riservatezza” nell’uso del documento ed in particolare dei dati in esso contenuti». Ecco la frase ricorrente nelle mail che, tra febbraio e marzo 2020, accompagnano il “Piano sanitario nazionale in risposta a una possibile emergenza pandemica da Covid-19” (qui il documento originale). Cosa c’è di così riservato in quel documento di 58 pagine e perché allora il ministro Speranza ha voluto tenerlo segreto? Scoprirlo serve a capire quanto sappiano del virus il ministero della Salute, i tecnici del Cts e della Lombardia il 20 febbraio 2020, quando alle 20 nell’ospedale di Codogno al paziente 1 viene diagnosticato il Covid. Nell’inchiesta della Procura di Bergamo per epidemia colposa, i contenuti del Piano giocano un ruolo decisivo per valutare se chi deve decidere in quel momento abbia le conoscenze e gli strumenti per farlo. Bisogna leggere le carte: le informazioni sull’attività investigativa, il Piano, le mail dei protagonisti di quei giorni drammatici e i verbali con l’interrogatorio di Stefano Merler, il matematico della Fondazione Bruno Kessler (FbK) tra i massimi esperti mondiali di modelli epidemiologici, che già prima di Natale 2019 inizia a studiare la diffusione del Covid in Cina.
Previsioni devastanti
È l’11 febbraio 2020 e in Italia gli unici casi accertati di Covid sono i due turisti cinesi in viaggio verso Roma. Andrea Piccioli, direttore generale dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), telefona a Merler: «Mi ha chiesto di preparare scenari per la diffusione del Covid-19 in Italia e stimare il possibile impatto sul sistema sanitario. Lo stesso giorno gli ho inviato un primo rapporto. Il giorno dopo ho presentato i risultati in Cts». La gravità della malattia appare subito: «La probabilità di sviluppare sintomi gravi (Terapia intensiva senza ventilazione meccanica invasiva) è del 18,75%. Il 5% dei casi sviluppa sintomi abbastanza gravi da richiedere ventilazione meccanica invasiva/ECMO. Questi pazienti rimangono in terapia intensiva per 20 giorni». In tale contesto, Merler sottolinea come “data l’elevata trasmissibilità del virus (R0=2,6, da dati cinesi), anche attuando interventi che riducono notevolmente la trasmissibilità ma non eliminano del tutto la malattia, l’impatto sul sistema sanitario potrebbe essere devastante ”. Dobbiamo essere pronti a qualsiasi forma di intervento per evitare la diffusione del Covid in Italia. Il 17 febbraio vengono presentati nel CTS i risultati preliminari di un modello matematico più complesso e le implicazioni per il Piano stesso, che Merler e gli esperti dell’ISS completano nella prima versione tra il 18 e il 20 febbraio.
Di fronte a Speranza
Arriva il 20 febbraio. A mezzanotte e 3 minuti Modesta Visca, un funzionario dell’Iss, ignaro di quanto accadrà nelle ore successive, invia ad alcuni esponenti del Cts il “PIANO_20.02.20 DEF, oltre alle slide per il ministro”. Alle 8.37 Alberto Zangrillo, primario dell’Unità di Anestesia e Rianimazione del San Raffaele di Milano, ha scritto ad Andrea Urbani del ministero della Salute: “Riguardo al documento riservato, lo trovo molto razionale e completo”. Nel pomeriggio, alla presenza del ministro Speranza, avviene la presentazione del “Piano sanitario nazionale”. «Ero incaricato di fornire stime del possibile andamento della pandemia in Italia – spiega Merler agli inquirenti – e valutazioni degli interventi per contenerla». Oltre a Merler, a parlare è Alberto Zoli, componente del Cts e responsabile dell’Emergenza-Urgenza di Regione Lombardia. Il 21 febbraio il Piano serve per adottare i primi provvedimenti: scatta la Zona Rossa a Codogno.
I 3 scenari
Vediamo cosa prevede il Piano per il 29 febbraio e poi spiegheremo perché la data è importante (il documento su Corriere.it). Prendiamo lo scenario più cauto, quello con R0 = 1,15, e quello più catastrofico con R0 = 2 (il 3 bis, poi accertato nei primi giorni in Lombardia). «Durante il primo anno di possibile epidemia, il totale dei casi varia da 672.568 a 2.973.651, mentre i casi gravi e critici da 88.167 a 586.889. Nello scenario 3 bis, la proiezione è di 1.000 casi notificati 38 giorni dopo il primo che ha generato la vera epidemia (i primi accertati in Lombardia risalgono a inizio gennaio circa), con il 75% dei posti di terapia occupati in terapia intensiva dopo 64 giorni e del 120% dopo il 67. Considerando però che molti posti letto in terapia intensiva sono già occupati da pazienti con altre patologie, il divario (cioè la differenza tra quelli che ci sono e quelli che servono, ndr) sarebbe di 2.397 posti in terapia intensiva dopo 64 giorni e 4.791 posti dopo 67. Il sistema sanitario sarebbe quindi crollato 2 mesi dopo il primo caso importato che ha generato la vera epidemia». La cifra di 100.000 morti non è di Merler né è nel Piano. Tra le misure indicate ci sono quelle definite “interventi straordinari (reattivi, su base geografica)”: fuori dai tecnicismi ci sono le Zone Rosse.
La tesi del pubblico ministero
Alle 18 del 29 febbraio, come risulta dal sito del ministero della Salute, i casi in Italia sono 1.049. Scrive il pubblico ministero: «Da questi dati derivano alcune ovvie considerazioni. La prima è che il contagio è aumentato esponenzialmente di giorno in giorno, quindi non sarebbe stato difficile ipotizzare fin da subito quale potrebbe essere l’andamento dell’epidemia nei giorni immediatamente successivi. La seconda è che già alle ore 18 del 29.2.2020, cioè 9 giorni dopo il primo positivo di Codogno, era stato superato il limite di 1.000 positivi che il Piano prevedeva, nella peggiore e più grave delle ipotesi, 38 giorni dopo il primo caso, il che significa che le infezioni erano ormai fuori controllo. La terza è che il Piano prevedeva l’occupazione di 60 posti letto in terapia intensiva al 38esimo giorno, mentre in realtà dopo 8 giorni i posti letto occupati in terapia intensiva erano già 64». Conclusione: “Ne consegue che lo scenario peggiore ipotizzato dal Piano era ben lontano dalla cruda e grave realtà, con l’ovvia conseguenza che fin da quei giorni il Cts avrebbe dovuto proporre, e il Ministero adottare, misure restrittive ben più incisive”.