cosa accadrà – .

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La legislatura 2024-29 potrà davvero iniziare il 18 luglio a StrasburgoQuel giorno, come ha confermato la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola a margine del Consiglio europeo di Bruxelles, gli eurodeputati voteranno con ogni probabilità, a scrutinio segreto, l’elezione del presidente della Commissione indicato dai leader, Ursula von der Leyen. L’astensione di Giorgia Meloni sul candidato, e il suo voto contro Antonio Costa, primo presidente del Consiglio europeo proveniente dall’Europa meridionale dopo due belgi e un polacco, e l’Alto rappresentante Kaja Kallas, non appare affatto, visto da Bruxelles, uno strappo impossibile da ricucire.

L’astensione di von der Leyen lascia la strada aperta a una ricomposizione in Parlamento. Von der Leyen ha bisogno di almeno 361 voti per essere eletta: sulla carta Ppe, S&D e Renew ne hanno 399, ma i cecchini potrebbero essere una sessantina, quindi bisognerà allargare la base, probabilmente sia a destra che a sinistra. Il premier olandese Mark Rutte, liberale, veterano del Consiglio europeo e prossimo segretario generale della Nato, ha invitato a non drammatizzare troppo, dopo i voti della Meloni e di Viktor Orban: “Penso che le cose si sistemeranno – ha detto – La Meloni era chiaramente irritato dal fatto che lei non sia stata coinvolta, cosa non possibile perché non fa parte dei tre partiti centrali. Ma lei è il Primo Ministro italiano ed è molto rispettata”.

Meloni, ha aggiunto Rutte, “ha le sue idee su come questo processo avrebbe dovuto essere condotto e le ha espresse con totale chiarezza. Ma i legami personali stretti che abbiamo rimangono”. Inoltre, hai ricordato, “l’ultima volta, nel 2019, non ci siamo accordati all’unanimità sui posti di vertice”, dato che Angela Merkel ha dovuto astenersi su von der Leyen. Questa volta è un po’ diverso, ma “non è strano: succede”, ha osservato Rutte. Nel 2014 David Cameron e Viktor Orban hanno votato contro Jean-Claude Juncker, ma “nel 2019 il Regno Unito non c’era più, eppure non abbiamo votato all’unanimità” sul primo mandato di Ursula von der Leyen.

Non è solo Rutte a considerare laica l’astensione di Meloni. Anche se “non è chiaro esattamente cosa voglia il Primo Ministro”, nota Janis Emmanoulidis, vice CEO dell’European Policy Centre, un think tank con sede a Bruxelles, la sua astensione su von der Leyen è in realtà “una buona notizia, un buon risultato” per la Presidente della Commissione. Perché, “Se la Meloni avesse votato a favore avrebbe creato problemi a von der Leyen in Parlamento”, alienando i suoi voti alla sinistra. Se invece “avesse votato contro, avrebbe lanciato un segnale chiaro a Fratelli d’Italia”, che conta 24 deputati, “dalla quale sarebbe stato difficile tirarsi indietro”.

Anche il voto contro Antonio Costa e Kaja Kallas, secondo Emmanoulidis, è comprensibile, perché “se von der Leyen dovesse fallire” e cadere nel voto al Parlamento europeo, Meloni “potrebbe dire di essere contro Kallas e Costa e che, quindi”, una volta caduta von der Leyen, “tutto il pacchetto” di posizioni di vertice andrebbe riaperto. Per Fabian Zuleeg, direttore esecutivo del Cpe, Meloni ha fatto una partita essenzialmente interna. Per il premier e leader di FdI, “era molto importante dimostrare di difendere l’Italia. Ma alla fine – sottolinea – non ha impedito” che le candidature passassero. Il fatto è, nota, che nell’Ue “c’è ancora una maggioranza centrista”, fatta di partiti che “non hanno remore a mostrare i muscoli”. Però, osserva, “non sappiamo cosa succede dietro le quinte, e di sicuro qualcosa sta succedendo”.

Soprattutto, dice Zuleeg, si tratterà di vedere “quale portafoglio” avrà il commissario italiano e “quanti soldi”, cioè quale bilancio, avrà a disposizione. Ieri il ministro degli Esteri e vicepresidente del Ppe, Antonio Tajani, ha ripetuto che l’Italia punta ad avere un vicepresidente della Commissione, con un portafoglio potente, possibilmente economico. In ogni caso, per Zuleeg la “narrazione” secondo cui l’Ue non ascolta i suoi cittadini è destinata a ripetersi sempre di più nei prossimi mesi, soprattutto se negli Usa ci sarà una seconda presidenza di Donald Trump. L’accordo raggiunto sulle nomine lascia aperta la questione dei rinnovi di medio termine del presidente del Consiglio europeo e del presidente del Parlamento.

“Al termine dei due anni e mezzo – ha spiegato il premier portoghese Luis Montenegro (gruppo Psd, Ppe) – ci sarà la ricandidatura” di Costa, “o di un’altra personalità”. Bisognerà vedere quale sarà la composizione del Consiglio europeo tra due anni e mezzo: potrebbe essere molto diversa da quella attuale. Mentre il Parlamento Europeo viene eletto e resta fisso per cinque anni, il Consiglio Europeo, e soprattutto il Consiglio UE, co-legislatore dell’Unione, varia nel tempo, seguendo i cicli elettorali nazionali. Il Ppe, nota Emmanoulidis, ha “buone possibilità” di riprendersi “due grandi Paesi, Germania e Spagna”.

Tajani ha chiarito che, se Costa avrà un secondo mandato, allora anche la maltese Roberta Metsola avrà diritto a un terzo mandato alla guida del Parlamento, perché “è il Ppe che ha vinto le elezioni”. Per il primo ministro portoghese, però, l’accordo sulle nomine ha avuto una maggioranza “schiacciante” nel Consiglio europeo e, pur “conoscendo la diversità di opinioni” tra le forze politiche, “ci sono tutte le condizioni per essere fiduciosi” in vista del voto in Parlamento. Per il primo ministro Psd “ci sono le condizioni per ampliare” il consenso sulle posizioni di vertice, e in particolare su Ursula von der Leyen, “nelle prossime settimane”.

Anche per il Montenegro, i voti di Meloni (astenuto su von der Leyen, contro Kallas e Costa) e Viktor Orban (contro von der Leyen, astenuto su Kallas, a favore di Costa) non sono un dramma: “Trovare punti di contatto tra 27 Stati membri – osserva – è un compito enormemente difficile. È complicato mettere d’accordo i leader di 27 Paesi ed è ancora più difficile quando appartengono a famiglie politiche diverse”. Non è strano, quindi, che ci siano stati voti diversi, ma “il compromesso, tra Stati e famiglie politiche, è in larga parte maggioritario” e “tale da poter attrarre altre famiglie politiche” nelle prossime settimane.

Il Montenegro pensa “ad esempio” ai Verdi, che si sono già detti disponibili a votare von der Leyen, anche se un allargamento formale della maggioranza a loro creerebbe seri problemi all’interno del Ppe (la delegazione italiana, ha chiarito ancora ieri Tajani, è decisamente contraria). Oltre alle posizioni di vertice, il Consiglio europeo ha approvato ieri sera 21 pagine di conclusioni, su Ucraina, Medio Oriente, sicurezza e difesa, competitività, migrazioni, Mar Nero, Moldavia, Georgia, minacce ibride, riforme interne, più l’agenda strategica per il 2024-29, che si estende per nove pagine.

In tutto il testo delle conclusioni, salta all’occhio l’assenza di riferimenti a come finanziare i numerosi obiettivi comuni che l’UE si prefigge, ad esempio nel campo della sicurezza e della difesa. Anche laddove tali esigenze sono emerse, come al punto 26, il riferimento è stato opportunamente sfumato: il Consiglio europeo, si legge, invita la Commissione a presentare “opzioni” per “finanziamenti pubblici e privati ​​per rafforzare la base tecnologica e industriale e per colmare le lacune di capacità”. Più che “colmare”, la bozza chiedeva di “colmare” le lacune di capacità, una formulazione ritenuta un po’ troppo esplicita.

Il motivo è sempre lo stesso e il prossimo segretario generale della Nato e leader uscente dei Frugali, Mark Rutte, lo ha chiarito: gli Stati membri dell’Ue “devono guardare collettivamente cosa si può fare” per rafforzare la difesa europea, ma “ci sono molti opzioni.” Gli eurobond, ha sottolineato Rutte, sarebbero “un passo enorme, un momento hamiltoniano. La Germania e alcuni altri Paesi non sono favorevoli”. Per Zuleeg, invece, “se due anni fa avessimo detto alle nostre industrie militari ‘compreremo le vostre munizioni, e poi troveremo il modo’” di pagarle, “sarebbe stato sicuramente complicato e costoso”, ma, “Se lo avessimo fatto, non ci troveremmo in una situazione in cui l’Ucraina non ha abbastanza proiettili e munizioni” per difendersi dall’invasore russo.

L’agenda strategica in sé, come nota Emmanoulidis, non è affatto “strategica”, dato che è stata fatta una “scelta consapevole” di “tenere tutti a bordo”. Il risultato è che, “con l’ambizione dell’unità, l’ambizione viene minata”. Leggendo le nove pagine dell’agenda, si rimane colpiti dall’abbondanza di obiettivi, anche molto ambiziosi: ad esempio, assicura che “costruiremo le nostre capacità in settori chiave e tecnologie chiave per il futuro, come difesa, spazio, intelligenza artificiale, tecnologie quantistiche, semiconduttori, 5G e 6G, salute, biotecnologia, tecnologie a zero emissioni, mobilità, farmaceutica, chimica e materiali avanzati”.

Tutti, o quasi, i settori in cui l’UE ha accumulato notevoli ritardi rispetto a Usa e Cina, che richiederebbero ingenti investimenti per recuperare. Ma questo aspetto cruciale nell’agenda strategica non viene menzionato: l’anno scorso la stessa von der Leyen ha dovuto seppellire in fretta la sua idea di istituire un fondo sovrano comunitario, a causa della decisa opposizione della Germania e dei paesi nordici. Aspettiamo la relazione di Mario Draghi, che su questo punto chiave ha più volte ‘flaggato’ i leader europei (“per favore, fate qualcosa”, aveva detto la primavera scorsa ai presidenti delle commissioni parlamentari). Ma Zuleeg dubita che i rapporti riescano a smuovere le capitali: “Sono sicuro che conterrà molte cose giuste – dice – ma sono molto scettico sul fatto che si vedrà qualche azione concreta. Perché ogni azione concreta – conclude – comporta dei costi politici”.

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