Conte, perché il Milan non lo voleva – .

Conte, perché il Milan non lo voleva – .
Conte, perché il Milan non lo voleva – .

Niente che non fosse logico – praticamente ovvio – aspettarsi. Occhi di fuoco, parole di fuoco, petto in fuori, orgoglio per il proprio lavoro e per la propria professionalità. La presentazione di Antonio Conte a Napoli ha rispettato l’ cliché. Tante sfide dentro la sfida madre di risollevare Napoli dalla depressione dell’ultimo anno. O meglio, quella che cercavano disperatamente anche i tifosi rossoneri, che forse non erano così sfiduciati come i napoletani ma, insomma, desideravano fortemente una grande scossa. Ecco perché, prima che Fonseca diventasse ufficiale, il nome più ambito dai tifosi del Milan era proprio Conte. Maggioranza bulgara sul web, nei bar e per strada.

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Allora la prima domanda è: c’era mai davvero la possibilità che Antonio prendesse residenza a Milanello? Più no che sì. Non un no assoluto quindi, perché l’ex tecnico italiano non ha avuto preclusioni nell’avviare un dialogo con il Diavolo. Semmai è stato dall’altra parte – via Aldo Rossi – che la pista non è mai realmente decollata. Una volta esaminato, probabilmente sì. Ma poi è rimasta lì così, come un diavoletto difettoso che non sa accendere il fuoco. Per capire il perché basta andare a guardare o rileggere il spettacolo di una sola persona di Conte nelle ultime ore. È la chiara rappresentazione delle ragioni che hanno indotto proprietà e gestione a suonare altri campanelli. Spettacolo di una sola personaesattamente. Una lista così lunga di “io”, nel senso di dico, faccio, decido, comando. E, sia chiaro, non c’è niente di male in questo. Ogni allenatore ha il diritto di interpretare il ruolo come meglio crede e ogni società ha il diritto di affidarsi alla leadership che ritiene più adatta. Il nocciolo della questione è proprio qui, e mettere a confronto Conte e Fonseca spiega praticamente tutto.

centralizzare o condividere

In conferenza stampa, Antonio ha fatto l’ennesimo lauto elogio a Lukaku, che piace molto al Milan di questi tempi, per poi rispondere a chi gli faceva notare che Ibra lo aveva definito allenatore: “Sì, sono un allenatore, voglio avere dire qualcosa e questo può dare fastidio in altri posti”. Un chiaro riferimento al Milan e al suo assetto dirigenziale (Ibra compreso ovviamente), e una stoccata altrettanto netta. Questo è il punto centrale. Il Milan nelle sue valutazioni per il dopo Pioli ha da subito seguito linee guida chiare. Uno di questi ha portato alla ricerca di una figura che potesse integrarsi facilmente con il resto del club. Qualcuno che non centralizzi, ma condivida. Lo stesso Ibra un paio di settimane fa aveva spiegato: “Conte? Non ne abbiamo parlato perché i criteri che abbiamo seguito, con tutto il rispetto per lui, non erano quelli che cercavamo”. Qui.

quella frase di ibra

Non è un caso che a febbraio, quando il nome di Antonio non solo veniva associato insistentemente al Milan, ma anche a Ibra, lo svedese avesse deciso di uscire allo scoperto: «Pioli è il nostro allenatore e siamo contenti di lui». A prescindere da come sia finita, la frase di Zlatan aveva due obiettivi: permettere a Pioli di concludere la stagione facendogli sentire la vicinanza del club, e liberarlo dalle voci che lo volevano impegnato in vari colloqui con Conte. In quei giorni, a chi gli era vicino, Ibra spiegò con vigore di non aver capito la genesi di quelle chiacchiere, visto che il suo ultimo contatto con Antonio era datato 2016. Che ci siano stati o meno contatti tra i due diventa a questo punto irrilevante, visto come è finita. Il Milan è rimasto fedele al suo modo di interpretare la gestione societaria dell’area sportiva e lo show di Conte di ieri è considerato una spiegazione esaustiva delle ragioni delle scelte per la panchina. Qualche mese fa, il motivo principale era economico: Conte guadagna molto, pretende un supermercato, ecc. In realtà, il motivo principale per cui il Diavolo ha corteggiato altri profili è un altro. Ed è tutto contenuto nel spettacolo di una sola persona di ieri.

 
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