Il fascino oscuro dell’immagine riflessa. Ieri il “Narciso” del Teatro Periferico di Acerbi al Parco – .

Il fascino oscuro dell’immagine riflessa. Ieri il “Narciso” del Teatro Periferico di Acerbi al Parco – .
Il fascino oscuro dell’immagine riflessa. Ieri il “Narciso” del Teatro Periferico di Acerbi al Parco – .

Un viaggio all’imbrunire nel bosco e nel mito dell’evento di ieri a cura del Teatro degli Acerbi nei parchi della città di Asti. Il prossimo appuntamento sarà il 19 maggio con “Hansel e Gretel” di Campsirago Residenza

ASTI – “L’ascolto avviene di notte” e, nel silenzio che libera dalle distrazioni, il peso delle parole e dei suoni cambia, prende forma nell’oscurità e si deposita. La dimensione del viaggio teatrale immersivo di Teatro periferico di Cassano Valcuvia, che ieri 12 maggio nel Boschetto dei Partigiani di Asti ha presentato il suo “Narciso” alla mostra Acerbi al Parcoè quello delle parole e della passeggiata nel bosco all’imbrunire.

Il cartellone durerà fino al 16 giugno (data in cui verrà recuperato il monologo “Il testamento del fruttivendolo” con Massimo Barbero, rinviato causa pioggia), propone spettacoli e performance ambientati nei parchi cittadini di Asti ed è un’occasione per scoprire o vivere più a pieno quei luoghi verdi che, da sempre, sono fonte di benessere. Il prossimo appuntamento sarà Domenica pomeriggio 19 maggio al Parco Rio Crosio con “Hansel e Gretel” di Residenza Campsirago, diretto da Michele Losi, per bambini dai 4 anni, con possibilità di essere accompagnati dai genitori. Ecco il programma di Acerbi al Parco.

Narciso, scritto da Dario Villa e diretto da Paola Manfredi, è principalmente un viaggio attraverso una foresta e attraverso un mito, in un viaggio poetico e musicale, che comprende testi di epoche lontane e di autori come Dante, Rilke, Pasolini, Ceronetti. Sei in un gruppo, ma tutti ascoltano il racconto in cuffia, avvolti nell’intimità di un’esperienza individuale, guidati dalle voci dello stesso Villa e di Elisa Canfora. Scivoliamo in un tempo arcaico e nell’abisso a cui possono condurre l’immagine e la percezione di sé.

La strada del Bosco dei Partigiani si inerpica tra alberi secolari e, poco a poco, ci si ferma davanti ad alcuni tableaux vivents (protagonisti Marco Bossi, Maddalena Chiodo, Emma De Luca, Alessandro Luraghi, Raffaella Natali, Daria Parii, Pier Schiattone, Emilia Vigliarolo Marrapodi), che ripercorrono il mito di Narciso raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio. Narciso, giovane bellissimo e crudele, si lascia morire dopo aver conosciuto se stesso, come predetto dall’indovino Tiresia, oppure dopo essersi specchiato nell’acqua e essersi innamorato della propria immagine di lui, irraggiungibile e intoccabile. Udiamo la voce della ninfa Eco, ricoperta di foglie e rami per nascondere la vergogna di essere stata da lui rifiutata, e la vediamo eterea e addolorata. Le immagini che si materializzano tra gli alberi si vestono di bianco, si riflettono negli specchi o sono nascoste dagli specchi (la rubrica è “Spiegel im Spiegel”, ovvero “specchio nello specchio”, tratta dal repertorio di Arvo Pärt), mentre altre specchi delimitano il percorso, riflettendo continuamente l’immagine dei camminatori. È l’immagine che condanna Narciso e può essere compiacimento o disperazione, infine ossessione.

L’immagine è la frattura della contemporaneità. Rileggendo da adulto il mito di Narciso, si capisce che egli muore non perché ami la sua immagine, ma perché preferisce la sua immagine a se stesso… solitamente siamo delusi o vanitosi, perché siamo divisi: siamo per metà bestiali, per metà ci sentiamo come Dio”. Sono frasi tratte non da un saggio sociologico, ma da un’intervista a Carla Bruni ed è un punto di vista molto legato all’oggi, alla paura di invecchiare e alla ricerca nevrotica della perfezione esteriore. Questa inquietudine ci sembra di coglierla nei gesti degli interpreti, che segnano ogni scena con la loro apparenza diafana di creature senza tempo, arrivate qui e ora a significare una realtà eterna.

Narciso finalmente appare nella sua riflessione e nell’esperienza dell’amore impossibile per ciò che è per eccellenza incoerente, generando quel connubio tra amore (seppur fatuo e fuori luogo) e morte, fonte di ispirazione poetica in ogni epoca. Quando muore, al suo posto nasce il fiore che porta il suo nome. Qui finisce la dimensione del mito, l’immagine rivela la sua temporaneità e ciò che resta è il lutto. Il percorso assume allora la sacralità di un corteo al seguito di una donna che si pettina allo specchio (“pensando al figlio senza vita”), sulle parole di “Vicina agli occhi” di Pasolini. Nelle liriche di Pasolini è evocata la memoria del fratello perduto, mentre qui la rievocazione dell’oscurità, dello specchio, del pensiero della morte sovrappone il sentimento di perdita alla narrazione mitica, mentre ci avviciniamo alla fine del il viaggio.

Non uno spettacolo teatrale nel senso tradizionale, ma nemmeno una performance. Narciso è un’esperienza che contrappone la realtà inartificiale del bosco, solida e veritiera, all’inconsistenza di ciò che appare sfrenato. In un’era virtuale, lo specchio si moltiplica nei mille schermi in cui ci si riflette e il ritmo del mito, scandito dai passi e dalla notte che porta all’ascolto, conduce attraverso il fascino oscuro e la tirannia dell’immagine di sé.

 
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