Roland Garros, quando Sinner gioca contro l’Alcaraz: due tempi possibili. Dove vedere la partita in tv e streaming

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Roma, 5 giugno. (Adnkronos Salute) – Gli italiani sanno poco dell’epatite C: poche informazioni sui fattori di rischio, sui test per diagnosticarla, sugli screening presenti in alcune regioni, sulla possibilità di curarla. Per questo parte da Milano il ‘Tram della consapevolezza’ per informare migliaia di persone che convivono con il virus Hcv ma non lo sanno e invitarle a sottoporsi al test. La campagna scende in piazza ma parla anche sui social con la voce di alcuni influencer e mette a disposizione un sito con informazioni e storie di persone che sono guarite.

Nonostante 7 su 10 abbiano sentito parlare di Epatite C (73,9%) tra questi, solo il 20% conosce veramente la malattia, oltre il 40% afferma di sapere poco o nulla (42,5%) e il 37% dice “così così”. Inoltre, 6 italiani su 10 sono a conoscenza di un test diagnostico per individuare il virus HCV, ma solo 4 su 10 sanno che oggi esiste la possibilità, per i nati tra il 1969 e il 1989 e per alcune categorie di persone particolarmente a rischio, di sottoporsi a questo test gratuitamente. Infine, troppo pochi – solo 4 su 10 – italiani sono consapevoli del fatto che oggi l’epatite C è curabile.

Sono alcuni dei dati emersi dal sondaggio AstraRicerche ‘Gli italiani e l’epatite’ su un campione di 1000 italiani per Gilead Sciences sul livello di conoscenza che i loro connazionali hanno sull’epatite C. Una fotografia che evidenzia l’importanza di promuovere una maggiore informazione per risolvere un problema di sanità pubblica: sono infatti migliaia le persone che hanno contratto il virus ma non lo sanno, la cosiddetta economia sommersa. L’assenza di sintomi, che può durare anche anni, non allarma chi l’ha contratto che quindi non si sottopone al test e non cerca cure. In questo modo il virus continua a passare da persona a persona e, in chi lo ha contratto, compromette progressivamente la funzionalità del fegato, provocando anche cirrosi e cancro al fegato. Da questi presupposti nasce ‘Epatite C. Mettiamola fine’, una campagna di sensibilizzazione multicanale per promuovere una maggiore conoscenza dell’infezione da HCV e dell’importanza dei test di screening.

La campagna inaugura oggi a Milano, in concomitanza con il Congresso dell’Easl (Associazione Europea per lo Studio del Fegato), il più importante evento scientifico europeo nel campo dell’epatologia, il suo viaggio attraverso il ‘Tram della Consapevolezza’ che porta in piazza l’informazione materiale sull’epatite C e sulle modalità di trasmissione dal centro del capoluogo lombardo, invitando la popolazione ad effettuare il test di screening. A sostegno della campagna uno spot radiofonico, il coinvolgimento di influencer e www.patiactiamociunpunto.it, un sito per conoscere l’epatite C e le sue modalità di trasmissione partendo da quattro storie di persone comuni che, grazie al test, hanno scoperto e curato la malattia. ‘infezione.

La campagna si inserisce in un contesto più ampio di lotta all’epatite, con la volontà di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo dell’OMS di eradicazione del virus HCV entro il 2030. Promossa da Gilead Sciences, l’iniziativa è patrocinata da 7 associazioni di pazienti – Anlaids Sezione Lombardia Ets , Anlaids Onlus, EpaC – ETS, Associazione Milano Check Point, Cooperativa Sociale Open Group Bologna, Plus Roma, Fondazione Villa Maraini – CRI, di 3 Società Scientifiche – Aisf (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato), Simg (Società Italiana di medicina generale e cure primarie), Simit (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali) e Città Metropolitana di Milano.

“Nonostante l’epatite C sia ormai una malattia curabile, esiste ancora una quota significativa di malattie non dichiarate – sottolinea Stefano Fagiuoli, direttore dell’Unità Complessa di Gastroenterologia, Epatologia e Trapianti Asst Papa Giovanni XXIII, Bergamo; Gastroenterologia, Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Milano Bicocca – Un po’ perché questa infezione può agire silenziosamente per decenni, danneggiando progressivamente il fegato e provocando una cirrosi che può trasformarsi in cancro, un po’ perché non c’è sufficiente consapevolezza delle modalità con cui il virus si trasmette. È quindi fondamentale informarsi e mettersi alla prova. In alcune regioni – continua Fagiuoli – è attivo un programma di screening gratuito dell’epatite C per i nati tra il 1969 e il 1989 che dovrebbe essere esteso alla popolazione generale. Investire nello screening dell’intera popolazione significherebbe infatti ridurre in soli 4 anni i costi economici e sanitari, nonché ridurre il peso delle malattie e delle morti, migliorando di conseguenza la qualità della vita delle persone”.

Il virus HCV si trasmette principalmente attraverso il contatto con sangue infetto, e quindi condividendo oggetti per la cura personale come rasoi, spazzolini da denti, strumenti per manicure o pedicure, scambiandosi aghi o siringhe, eseguendo tatuaggi o piercing con aghi non sterili. Anche coloro che hanno subito trasfusioni di sangue o trapianti di organi prima degli anni ’90 sono a rischio perché fino ad allora il virus era sconosciuto. Meno frequente è il contagio attraverso i rapporti sessuali e da madre a figlio durante il parto.

Sono quindi molti i comportamenti o le pratiche che possono portare all’infezione da HCV. Eppure solo 1 intervistato su 10 – si legge nella nota – ritiene di essere potenzialmente a rischio di epatite C. Una falsa percezione che si riflette nella convinzione che solo determinati gruppi di persone siano a rischio di epatite C: gli intervistati mettono al primo posto l’iniezione i tossicodipendenti (46,3%), al secondo posto le persone che hanno subito una trasfusione o un trapianto di organi (42,90%), al terzo gli alcolisti (30,57%). Solo 2 italiani su 10 associano tatuaggi (24,8%) e piercing (23,5%) al rischio di epatite C. Una quota che diminuisce drasticamente per le pratiche estetiche (13,6%).

“L’esposizione a interventi medico-chirurgici prima degli anni ’90 rappresenta il più importante fattore di rischio per l’infezione da HCV, che non è un problema limitato ai soggetti con precedenti di tossicodipendenza – spiega Roberta D’Ambrosio, specialista in Gastroenterologia, epatologa dell’Irccs Ca Fondazione Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – Il virus infatti fu scoperto tardi, e fino al 1992 non erano disponibili test per la sua identificazione e per la conseguente sicurezza delle trasfusioni, degli interventi chirurgici e di altre procedure come la dialisi, oggi il rischio di la trasmissione dell’infezione è limitata ad alcune procedure estetiche (es. tatuaggi, interventi estetici) eseguite in ambienti scarsamente controllati e ai soggetti che fanno uso di sostanze ricreative uno screening approfondito, che colpisce soprattutto i soggetti di età superiore ai 33 anni”.

L’indagine, infine, evidenzia come la propensione a sostenere il test aumenti esponenzialmente quando le persone si informano correttamente, passando dal 29,6% al 45,5% dopo aver letto un breve testo informativo su cosa è e come viene trasmesso. epatite C. “Ecco perché – afferma Ivan Gardini, presidente di EpaC Ets – sono fondamentali campagne informative locali e nazionali volte ad aumentare la conoscenza della popolazione generale su questa forma di epatite, perché solo così si potranno ottimizzare al massimo le opportunità dello screening nazionale gratuito per i nati dal 1969 al 1989. Solo dalla consapevolezza di comportamenti a rischio può nascere il sospetto di aver contratto l’infezione e quindi la volontà di sottoporsi all’esame diagnostico. Un test che non deve spaventare, perché oggi esiste una cura efficace per l’epatite C”.

Informazione e sensibilizzazione sono necessarie anche per combattere stigma e falsi miti, ancora diffusi tra gli italiani. Circa 1 intervistato su 10 (il 10,8% di quelli che hanno familiarità con l’epatite) afferma che il contatto con persone affette da epatite C dovrebbe essere evitato; percentuale che sale al 22% tra i maschi 18-29enni. Inoltre, circa 4 persone su 10 pensano erroneamente che esista un vaccino contro l’epatite C e non sanno che esiste una cura.

“Sono molto felice del lancio di questa nuova campagna. Ancora una volta siamo al fianco della comunità scientifica e delle associazioni dei pazienti – afferma Carmen Piccolo, Direttore Sanitario di Gilead Sciences Italia – per costruire insieme un mondo senza epatite C. Collaborare con tutti gli attori del Sistema Sanitario è fondamentale per fare davvero la differenza, promuovendo corrette informazione, sensibilizzazione e accesso a diagnosi e terapie. Sono profondamente convinto che solo unendo le forze potremo raggiungere gli obiettivi fissati dal profilo di rischio dell’Oms per sottoporci al test, solo così potremo sconfiggere l’epatite C”.

 
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