Adesso i centristi dovranno decidere cosa fare da grandi, da che parte stare e con quale leader – .

Adesso i centristi dovranno decidere cosa fare da grandi, da che parte stare e con quale leader – .
Adesso i centristi dovranno decidere cosa fare da grandi, da che parte stare e con quale leader – .

di Leonardo Botta

Innanzitutto confesso il mio peccato: in questa tornata elettorale per le elezioni europee ho dato il mio voto al partito Azione: siamo europei (ahimè, un voto perso, visto che la soglia non è stata superata). Detto questo, vorrei proporre tranquillamente un’analisi post voto sulle sorti del fronte politico a cui appartiene questo partito. Parliamo di quella microgalassia di soggetti che fanno capo allo schieramento democratico liberale che, al Parlamento Europeo, prende il nome di Rinnovare Europa.

Una formazione che esce pesantemente sconfitto dalle urne, perdendo oltre 20 seggi a Strasburgo rispetto a 5 anni fa. E che esce sconfitta soprattutto in Italia per un risultato indiscutibile che il voto ha regalato agli analisti: l’Italia preferisce ancora il sistema bipolare; imperfetto come vuoi ma, tuttavia, va notato che c’è spazio per il “terzo polo” nel nostro arco costituzionale non c’è: quindi, così come quelli di Forza Italia mettono diligentemente in mostra le loro idee liberal-popolari (anche se contaminate dagli scarti di Berlusconismo che ancora vive e lotta insieme a loro) al servizio del centrodestra, seppure con diversi elementi di distinzione dagli alleati Fdi e Lega, così come i partiti centristi del fallito Terzo Polo devono decidere cosa fare da grandi.

Occorre quindi ragionare sugli scenari e sulle scelte strategiche a cui sono chiamati i soggetti in questo ambito: Azione, +Europa E Italia Viva (rigorosamente in ordine alfabetico). Vale la pena ricordare che l’esperimento ha già fallito in passato, con la burrascosa rottura tra Calenda e Renzi lo scorso anno. E voglio dare merito a Calenda per aver costantemente respinto, in questa tornata elettorale, ogni allettante ipotesi di somiglianza con colei con cui aveva rotto così male il rapporto (inutile analizzare le rispettive colpe, dalle quali nessuno dei due è evidentemente esente): sarebbe stato piuttosto imbarazzante dover spiegare agli elettori il significato di questa “riunione”.

Detto questo, per non rassegnarsi all’irrilevanza (a cui forse potrebbero essere comunque destinati), per loro ora la strada obbligata è rifondare un soggetto che non può più permettersi il lusso di disperdere uno sforzo (e un voto) cioè quello di creare una massa critica minima e raggiungere quella ipotetica soglia consenso del 6-7% (anche se mai come in queste elezioni è stato dimostrato che in politica la somma non fa mai il totale).

La parte più semplice è mettere insieme il programma, i cui punti chiave sonoeuropeismo e principi laico-liberali con attenzione ai diritti sociali e civili, e ad a transizione ecologica ed energia che sia moderata ed economicamente sostenibile. Naturalmente ci saranno punti controversi da riassumere, come le diverse posizioni sulle politiche salariali e del lavoro, ma lo sforzo che ci attende Non mi sembra titanico. Sui restanti temi (gestione attenta dei flussi migratori, strategie di giustizia e difesa) mi sembra che ci sia totale sintonia.

Quello più complicato è ovviamente il posizione politica: visto che non puoi stare da solo a meno che tu non voglia contare come un tris, vai a destra o a sinistra? E qui, non vorrei proprio essere nei panni di chi ha il compito di sciogliere questo nodo: a destra, per ora, non li vogliono perché non ne hanno bisogno (anche se ci sono stati qualche cenno al passato, vedi l’elezione di La Russa a presidente del Senato con il probabile voto dei renziani). A sinistra c’è il quasi incurabile incompatibilità con il Movimento 5 Stelle e, in parte, anche con la Sinistra Verde.

Infine, quella ancora più difficile sarà forse la scelta comando. Mi sembra evidente che, con tutta la bile che si sono vomitati addosso i fondatori di questi partiti, il possibile nuovo leader politico della (molto) possibile unica entità liberal-democratica non può che essere un altro: né la Bonino (con tutto il dovuto) rispetto, ha dato tanto, ma non ci si può candidare in omnia saecula saeculorum), né Calenda né Renzi dovrebbero aspirare a questo ruolo, quindi sarebbe decisamente appropriato per loro un passo di lato: si inventino un ruolo di padri nobili, di presidenti onorari, di garanti, quello che vogliono, ma lascino, per amore della causa, a qualcun altro l’onere e l’onore di prenderne le redini. Naturalmente bisognerà mettere a punto un meccanismo costituente, di cui in realtà si è già parlato nel gennaio 2023 (prima dei tempi dei lunghi coltelli tra Calenda e Renzi) nel convegno degli Stati generali liberali democratici a Milano coordinato da Giuseppe Benedetto, Oscar Giannino, Sandro Gozi, Alessandro De Nicola e Benedetto della Vedova, che secondo Calenda avrebbe dovuto incoronarlo capo politico (non avendo tenuto conto dell’oste Matteo, più furbo del gatto e della volpe messi insieme).

Questa fase costituente avrà il compito di stabilire regole e programmi, e organizzare la selezione del leader. Quale leader? Per ora mi viene in mente un solo nome (magari non nuovissimo, sicuramente non autorevole come quelli di Einaudi o Benedetto Croce): Mara Carfagna.

Ma il tempo c’è: almeno dieci anni, finché governeranno indisturbati Giorgia Meloni e il centrodestra (se non iniziano a fare danni prima, ipotesi piuttosto improbabile).

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