Bird, la recensione del film di Andrea Arnold – .

Ci sono film e ci sono film di Andrea Arnoldo. Per quanto copiata, citata, omaggiata (perché è facile dire “cinema indipendente”), è l’unica autrice contemporanea capace di sottolineare al meglio la forza del racconto legata alla potenza delle immagini. E lo fa giocando costantemente con gli opposti: brutalità e dolcezza, bellezza e bruttezza. Una costante del suo cinema (che troverete in Miele americano la traccia più esplicativa), una costante del suo linguaggio che, seppur abusato in tutto il mondo, finisce per toccare Uccello nuove forme e nuovi percorsi, senza mai apparire esagerato in quello che diventerà poi un percorso formativo dai tratti straordinariamente surreali, forte di un’allegoria animalesca (fin dal titolo) che rifletterà le performance dei suoi ricercatissimi interpreti (e qui abbiamo alcuni sono eccezionali).

Sembra banale scriverlo, ma Uccello, presentato in concorso a Cannes 2023, è un film dal forte riverbero cinematografico. Di più, è il film di più cinematografico tra tutti quelli diretti dal regista britannico. Un’autrice in costante contatto con la libertà artistica, che infatti costruisce le sue storie attraverso uno sguardo lucido e scomodo nel metterci davanti una realtà dal sapore molto amaro, velenoso. Eppure, dietro Uccelloc’è un’altra Odissea: un viaggio di conoscenza, di incontri, di luce ritrovata. “Questo è stato il film più doloroso, ma mi ha fatto capire quanto sia straordinaria la vita”, dirà il regista, alla vigilia della prima mondiale. Una citazione forse inadatta ad una recensione, ma che espone al meglio il paradigma alla base di un’opera dalle necessarie e ambiziose imperfezioni.

Uccello, di rane allucinogene e di vite sprecate

Nykiya Adams, la nuova arrivata dei Bird

Perché allora, spiega Arnold, la perfezione non porta a nulla. È nei graffi e nelle irregolarità che si nasconde il mistero della bellezza. Forse per questo il regista risponde ad un mondo arrabbiato e infame scegliendo il occhi enormi di Nykiya Adams, una straordinaria nuova arrivata che interpreta Bailey. Una dodicenne che vive in uno squat nel Kent, nel sud-est dell’Inghilterra, insieme al fratello Hunter (Jason Buda) e al padre molto particolare (per usare un eufemismo) Bug (Barry Keoghan, sempre meglio), che va in scooter e ascolta i Blur mentre cerca di far vomitare una sostanza allucinogena a un rospo. Insomma, non il miglior padre del mondo, ma nemmeno il peggiore. La vita di Bailey, alle prese con una sommessa indecisione sessuale, è sconnessa, frammentata, accartocciata. Sua madre, Peyton (Jasmine Jobson), vive con le due sorelle più piccole dall’altra parte della città, in una dimensione messa estremamente a disagio dal suo violento convivente. In qualche modo Bailey sta cercando una reazione, o meglio un posto nel mondo. E se parliamo di chiarezza narrativa, il film prende il volo (letteralmente) quando la ragazza fa amicizia con un randagio gentile e smarrito che, appunto, si fa chiamare Bird (Franz Rogowski).

I cieli di Andrea Arnold

Ed è grazie alla strana amicizia tra Bird e Bailey che l’opera si apre nella sua seconda parte (presentata a Cannes con un rough cut, cioè un montaggio preliminare), allargando ancora di più lo sguardo verso una geografia stitica. dalla deformità e dall’incanto. Una precisa chiave estetica, oltre che narrativa, supportata dal montaggio di Joe Bini e dalla fotografia plumbea di Robbie Ryan (d’altronde siamo nel Kent!). Una chiave che Andrea Arnold, almeno in parte, rivoluziona in un tumulto emotivo che non lascia tempo a lacrime o sorrisi, sfrigolando quelle note surreali che ricordano le fiabe, riassunte nell’armonia coinvolgente di un brano che ritornerà spesso: L’Universale di Sfocatura.

Uccello Andrea Arnold Cannes

Nykiya Adams e Barry Keoghan sul set di Bird

Così, quando il film sembra aver preso la sua strada, la presenza di Bird (uno stravagante individuo che ci farà chiedere più volte da dove venga) stravolge la storia, portandoci, come Bailey, ad alzare gli occhi al cielo. Lo stesso cielo che, per Arnold, diventa il palcoscenico perfetto (lo aveva già fatto con American Honey: i cieli di Andrea Arnold sono i migliori), aiutandola a esaltare la forza di un cinema che lavora per immagini, stimoli ed emozioni, senza volere risparmiare. Il cielo, per il regista, e per il protagonista, sarà un punto d’incontro, la fine e poi l’inizio. L’aspirazione lisergica allo stupore, lontana da una verità che non elude il dramma, né addolcisce ciò che c’è fuori, ma piuttosto ci accompagna in un tremante inferno, in cui la macchina a mano non anticipa ma segue, come se fosse un guardiano pronto a rassicurarci e ad abbracciarci. Questo è Bird, un film che ci ricorda quanto siano importanti tre semplici parole: andrà tutto bene.

Conclusioni

Il cinema di Andrea Arnold punta al surreale e alla fiaba, senza rinunciare alla sua forte identità visiva e narrativa. Bird, presentato in concorso a Cannes, oltre a segnare il notevole esordio di Nykiya Adams, è una sorta di viaggio emozionale giocato mantenendo a fuoco (o fuori fuoco) i tratti distintivi di una poetica riconoscibile e troppo spesso imitata. Sarà poi nella seconda parte, per certi versi inaspettata, che il film ritroverà il suo stato naturale, per quello che sembra un tentativo riuscito: rispondere al brutto con la bellezza.

Perché ci piace

  • La tecnica, emotivamente rilevante.
  • La seconda parte, inaspettata.
  • Il cast. E fai attenzione a Nykiya Adams.
  • Fine.

Cosa c’è che non va

  • Alcuni tratti surreali potrebbero risultare troppo sperimentali, se consideriamo la filmografia di Arnold.
 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

NEXT Die Hart 2 – Die Harter, la recensione del sequel con Kevin Hart su Prime Video – .