“Conoscevo tutti nel centro storico. E ho insegnato calcio al mister Ballardini” – .

“Conoscevo tutti nel centro storico. E ho insegnato calcio al mister Ballardini” – .
“Conoscevo tutti nel centro storico. E ho insegnato calcio al mister Ballardini” – .

Per trent’anni distribuì la posta nelle case e negli uffici del centro, a partire da quando il postino andava a piedi o in bicicletta, conosceva tutti ed era amico e confessore di molti; un lavoro condiviso con la passione per il calcio, prima da giocatore e poi da allenatore per mezzo secolo. Mille ragazzi furono educati da Davide Bombardi prima ad affrontare la vita e poi a giocare a calcio, a cominciare da Russi che all’epoca era ai vertici in Italia come incubatrice di campioni, poi nella scuola calcio Mandorlini e all’Azzurra. Ma Bombardi è anche altro: orfano di padre morto in guerra nel 1943, da 32 anni è presidente dell’Associazione famiglie caduti e dispersi in guerra e da anni riporta centinaia di adolescenti del ‘Novello’ per visitare i luoghi della memoria, da Caporetto alla Risiera San Saba, da Redipuglia a Marzabotto a Mauthausen: nel 2009 il presidente Giorgio Napolitano lo ha nominato Cavaliere al Merito della Repubblica.

Si emoziona ricordando i tanti ragazzi a cui ha insegnato calcio…

“Eh sì perché prima di fare l’allenatore sono stato per loro amico, genitore, psicologo, ho sempre cercato di conoscere a fondo i ragazzi per capire i loro atteggiamenti e magari correggerli e ho sempre cercato di fargli capire come lo sport, prima ancora che competitivo, è amicizia. Sì, mi emoziono perché nessuno dei mille ragazzi che ho formato è finito su brutte strade e per me questo è un grande merito. Non dimenticare che quando ho cominciato l’uso della droga si diffondeva e molti ragazzi poi sono morti…”.

E poi hai ottenuto buoni risultati anche sul campo…

“Morandi cantava che ‘uno su mille ce la fa…’ Posso dirne anche più di uno, su mille che ho contribuito a crescere come calciatori, ce ne sono quindici che hanno ottenuto ottimi risultati nei professionisti, fino alla Serie A” .

Tu, me lo hai detto, sei orfano di guerra, parlami di tuo padre, della tua famiglia…

«Prima di tutto voglio dire che mai avrei pensato di rivivere oggi momenti come quelli del ’44-’45, vedendo in televisione le città distrutte, le madri che piangono e tengono in braccio i figli mentre i mariti sono al fronte, morenti. Mi ritrovo lì, io, mia sorella, mia madre Maria, sotto i bombardamenti… Che angoscia, che impotenza! Mio padre Pio morì ad Orano, in Algeria, il 5 ottobre 1943 ed è sepolto nel Santuario dei Caduti d’Oltremare a Bari. Avevo 3 anni, non ricordo niente di lui. Abitavamo a Dovadola, mia madre faceva la portinaia al Goodwill dove poi ho studiato. Anche il fratello di mio padre, Primo, era morto in guerra nel 1918. Era andato volontario sulle Alpi. 16 anni”.

Quando sei emigrato nel ravennate?

«Nel ’56. Ci siamo trasferiti a San Pietro in Trento dove è venuta a vivere mia sorella dopo il matrimonio. E per due o tre anni ho fatto l’operaio a Bassona, ma si è scoperto che mia madre lavorava quindi ha potuto arrivare ai 15 anni di contributi per la pensione. Non ce l’avrebbe fatta per il mal di schiena… Poi sono stato assunto alla Cmc e ho lavorato anche nel cantiere dell’Anic, che ormai era terminato. Nell’agosto del ’63 approdai alle Poste, un lungo processo…”.

Storie…

“Mi sono rivolto al preside delle Poste di Dovadola, conosceva me e mia madre… Ho chiesto aiuto alle poste, non volevo più fare il muratore. Scrisse una lettera al direttore delle poste di Forlì e mi mandò da un sindacalista della Cisl, Mario Volta. E fui assunto a Ravenna”.

Con quale ruolo?

«Prima un fattorino, poi un postino, in pieno centro, sempre in bicicletta con due sacchi di posta, fino a 80 chili e un centinaio di raccomandate. Nelle mie strade c’erano tanti uffici e professionisti e quindi tra lettere, libri, giornali, la posta c’era tantissima da distribuire…non come oggi! All’inizio degli anni ’70 lavoravamo anche il sabato e venivamo pagati a cottimo”.

L’arrivo del postino è stata l’occasione per fare due chiacchiere…

“Certo, ci conoscevamo tutti, la consegna della posta era occasione per parlare, c’era chi raccontava i suoi guai. Considera anche che se non trovassi nessuno a casa per la raccomandata non lascerei l’avviso… no, tornerei e prima o poi troverei qualcuno. Per molti sono diventata una di famiglia… Per sei mesi ho lavorato anche a Faenza, a Borgo! E ti dirò che a Natale le mance sono arrivate, più dello stipendio! Ah, sai cosa mi viene in mente… la neve! C’erano degli inverni negli anni ’60 in cui c’erano anche 30-40 centimetri di neve e io restavo a Ravenna e dormivo sul biliardo delle poste centrali, non potevo tornare a casa a San Pietro a Trento in moto”.

All’epoca giocava già a calcio…

“Dal ’48, quando ero ancora a Dovadola, a 8 anni giocavo nei Pulcini, poi a Ravenna giocavo nella Libertas, fino al ’67, quando ho sposato Maria Luisa Mattioli, l’ho conosciuta all’Endas di Lugo dove Sono andato a ballare. Ci siamo trasferiti a Ravenna e abbiamo avuto tre figli, Vidmer e due gemelli, Denis e Myriam. Purtroppo Myriam è morta qualche anno fa…”.

Dove hai iniziato ad allenare?

“All’Audace di San Pietro a Trento, per due anni. Tra i ragazzi che ho allenato c’era Davide Ballardini, oggi è l’allenatore del Sassuolo, poi nel ’76, grazie a Germano Balestrucci sono entrato nel Russi dello stesso presidente Lino Dalla Valle. E lì sono rimasto ventuno anni, sempre sul fronte giovanile: giovani, esordienti, ragazzi e studenti. Alcuni di loro arrivarono in Serie A come i due ravennati Gianluca Ricci e Damiano Longhi divenuti capitani di Padova e Bari. Dalla Valle ha fatto il diavolo. quattro perché Modena, a cui li aveva venduti, li tenesse per farli crescere…”.

E dopo Russi?

“Per 8 anni ho allenato alla scuola calcio Mandorlini al Dribbling, poi per 19 anni all’Azzurra ed entrambi hanno prodotto ragazzi che poi sono diventati professionisti. E ho un primato, quello di aver allenato fino alla terza generazione nella famiglia Battistini: il nonno, a Russi e poi figlio e nipote, nel 2013, a Ravenna. Con il Covid ho smesso”.

Oggi nei campi assistiamo spesso a deplorevoli azioni violente da parte dei genitori…

“Tutto sta cambiando, come accade anche nelle scuole dove i genitori attaccano gli insegnanti se danno un brutto voto ai propri figli. Scioccante! Ho sempre avuto con i ragazzi un rapporto che va ben oltre l’allenatore, per aiutarli a crescere bene nella vita. E li faccio anche rimproverare, con severità”.

Conclusa la sua esperienza sportiva, è pienamente attiva anche su un altro fronte…

“Dal ’94 sono presidente dell’Associazione famiglie dei caduti e dispersi di guerra, mi hanno rieletto nel 2021. Da anni, con la collaborazione di alcuni insegnanti del ‘Novello’, organizzo visite alle luoghi simbolo delle tragedie per gli studenti di terza media delle due guerre mondiali. Prima andavamo in autobus, poi le responsabilità sono diventate troppe e non lo facciamo più”.

 
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