15 giugno 2024 alle 12:06
L’omicidio di Saman è stato organizzato da tutti i membri della famiglia, e poi comunicato anche ai parenti che vivevano all’estero, fin dai primi giorni del ritorno in patria di Saman Abbas. La storia ha poi subito una accelerata dopo la scoperta della sua relazione con Saqib e l’intenzione della 18enne di scappare.
Lo sostengono il procuratore di Reggio Emilia Gaetano Paci e il pm Maria Rita Pantani nel documento alla Corte d’appello di Bologna dove contestano le assoluzioni dei due cugini del 18enne, Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz e ribadiscono l’esistenza, a loro avviso, dell’aggravante della premeditazione e dei futili motivi. In primo grado, la Corte d’assise ha condannato all’ergastolo i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen e a 14 anni lo zio danese Hasnain, l’unico a rispondere anche della soppressione di cadavere, reato che però, secondo La Procura, riguarda tutti i familiari sotto processo.
Nel ricorso, la Procura di Reggio non si arrende e chiede di riascoltare alcuni testimoni e offre ai giudici d’appello una serie di fotogrammi sequenziali per rivisitare gli spostamenti intorno all’abitazione di Novellara dove viveva la famiglia pakistana, tra il 29 e il 31 aprile 2021, quando Saman fu ucciso. Ad esempio, oltre al video del 29 aprile in cui si vedono i due cugini e lo zio con degli attrezzi in mano, se ne aggiunge uno successivo in cui Nomanhulaq impugna un piccone, uno strumento per scavare il terreno compattato, che rafforzerebbe la secondo l’accusa la fossa sarebbe stata scavata dai tre. La Corte sostiene invece che fossero andati a svolgere lavori agricoli.
Un altro passaggio importante è dedicato al fratello della vittima, allora minorenne, testimone chiave per la Procura ma demolito nella sentenza d’assise perché inattendibile. I pm insistono sul fatto che la sua posizione avrebbe dovuto essere quella di un “testimone vulnerabile” e non certo quella di una persona potenzialmente indagabile.
