Tre trattative parallele. Ma ancora non raggiungono un accordo su Gaza – .

L’annuncio fatto oggi dall’Egitto, secondo cui Hamas avrebbe accolto favorevolmente la proposta di accordo per il cessate il fuoco a Gaza formulata dagli Usa, non è un segnale che un accordo tra Israele e Hamas sia vicino. Ma è l’elemento che conferma che un’ipotesi di accordo esiste, e regge grazie alle pressioni internazionali e all’assenza di dettagli. Il piano americano prevede tre fasi che hanno come obiettivo la cessazione delle ostilità a tempo indeterminato, con il rilascio di tutti gli ostaggi, ma non è chiaro come si debba raggiungere questa tregua duratura, e quali siano i passaggi tra le tre fasi. È un piano ancora tutto da costruire ed è in questo spazio poco definito, dai contorni sfumati, che si giocano le speranze della comunità internazionale di arrivare alla fine del conflitto.

In questa fase sono tre i negoziati in corso per raggiungere un accordo: il negoziato tra Usa e Hamas, quello tra Usa e Israele, e poi c’è un negoziato interno a Israele, con il coinvolgimento del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu contenere l’opposizione dell’estrema destra di Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, che minacciano di lasciare la coalizione di maggioranza, mettendo a rischio la stabilità del governo. La notizia data dall’Egitto costituisce sicuramente un elemento di ulteriore pressione sul primo ministro israeliano. Perché la palla ora è nel campo di Israele, con Netanyahu che potenzialmente si ritroverà presto in un vicolo cieco. Bibi sarebbe praticamente costretto ad accettare l’accordo formulato dagli Usa e accettato da Hamas, e cercare, con tutte le sue forze, di convincere l’estrema destra che sostiene la sua coalizione a non lasciare il governo. Secondo Haaretz, l’unica opzione di Netanyahu è indire nuove elezioni.

La possibile fuga degli estremisti non è solo una questione che riguarda la stabilità dell’esecutivo o della sua leadership: se l’estrema destra e il Haredim se abbandonasse Netanyahu, il primo ministro difficilmente riuscirebbe a salvare la faccia di fronte all’opinione pubblica israeliana. Ad essere messa in discussione sarebbe la sua stessa politica di guerra ad Hamas, così come la struttura dello Stato israeliano che Bibi ha contribuito a costruire negli ultimi anni. Netanyahu ha troppo da perdere e non può permetterselo.

L’approvazione di Hamas è stata data per certa dal ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, oggi a Madrid (dopo che la Spagna ha riconosciuto formalmente lo Stato palestinese), anche se non è arrivata alcuna conferma da parte delle milizie. Ma Netanyahu, subito dopo le parole di Shoukry, ha in parte smantellato le speranze della comunità internazionale, intervenendo davanti ai membri del comitato affari esteri e sicurezza della Knesset, e sottolineando di non essere “d’accordo con la fine della guerra nella Striscia di Gaza”. Per Netanyahu il piano presentato da Joe Biden è “parziale” e “non accurato”, con alcune “lacune” rispetto alla proposta israeliana. Hamas, dal canto suo, ha anche chiarito alcune “linee rosse”. Come spiegano fonti citate da Haaretz, la milizia ha informato i mediatori di Qatar ed Egitto di volere una garanzia ufficiale da parte degli Usa che “Israele metterà in atto tutte le condizioni dell’accordo”, sottolineando la richiesta di un “cessate il fuoco duraturo”. Le stesse fonti esprimono pessimismo sui negoziati proprio perché le due parti non riescono ancora a mettersi d’accordo sulla durata del cessate il fuoco.

Ma ci sono alcuni piccoli segnali di una possibile, seppure complessa, convergenza sulla proposta avanzata dagli Stati Uniti. Netanyahu ha aperto oggi un cessate il fuoco temporaneo, con l’obiettivo di restituire gli ostaggi. Dopo questo primo periodo di tregua, il primo ministro israeliano ha dichiarato che si sarebbe aperta una fase di discussioni per un eventuale altro periodo di cessate il fuoco. Ma, ha ribadito Netanyahu, “la guerra non finirà mai in modo permanente”. Allo stesso tempo, c’è un consenso da parte di diversi attori della comunità internazionale nel premere sui due protagonisti del conflitto. “Hamas deve accettare l’accordo proposto da Israele: è un bene per il popolo di Gaza, è un bene per gli israeliani”, ha detto oggi il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale americano, John Kirby. “È un accordo molto serio, è la cosa migliore per porre fine a questo conflitto”. Anche i Paesi arabi – Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Qatar ed Egitto – hanno sottolineato oggi l’importanza di “affrontare in modo serio e positivo la proposta di cessate il fuoco presentata dagli Usa”.

Netanyahu continua ad essere molto vago nella sua risposta alla proposta americana perché rischia, ora più che mai, di perdere le fazioni più estremiste e religiose della sua coalizione. Oggi era previsto un incontro tra Netanyahu e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, che ha minacciato di far cadere il governo sulla nuova proposta di accordo. Netanyahu si è detto disponibile a mostrare a Ben Gvir la bozza di accordo proposta dagli Usa, cercando di convincere il ministro di estrema destra che l’accordo non contiene “alcuna clausola che obblighi Israele a porre fine ai combattimenti”. Ma Ben Gvir dice che l’ufficio di Netanyahu non è riuscito “per due volte a fornirgli il piano americano”.

L’altro ministro che Netanyahu deve convincere è il ministro delle Finanze e capo del partito ultranazionalista “Sionismo religioso” Bezalel Smotrich. Ha anche minacciato di lasciare l’esecutivo se la proposta americana di accordo fosse stata accettata. Smotrich ha incontrato nelle ultime ore i rabbini che fanno parte del suo partito per stabilire quali siano le “linee rosse” che Netanyahu non deve oltrepassare, per assicurarsi il loro sostegno alla coalizione di maggioranza. Se Smotrich e i partiti ultraortodossi continueranno a sostenere Bibi dipenderà soprattutto da una decisione dell’Alta Corte di giustizia, che riguarda l’esenzione degli uomini ultraortodossi dal servizio militare. Ieri l’Alta Corte israeliana ha esaminato le petizioni che contestano l’esenzione Haredim e la sentenza dovrebbe arrivare nei prossimi giorni. Anche il giudice Noam Sohlberg, considerato il portavoce della destra all’interno della Corte, ieri si è schierato contro Netanyahu e gli estremisti della sua coalizione, dichiarandosi “deluso” dal piano di reclutamento presentato dal governo Bibi, che prevede la coscrizione obbligatoria, al massimo, di 3 migliaia di reclute ultraortodosse.

La pressione su Netanyahu non si limita alla sua stessa coalizione. Questa mattina, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha parlato al telefono con i due colleghi del gabinetto di guerra di Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il ministro senza portafoglio ed ex capo dell’IDF Benny Gantz. Nella telefonata, Blinken ha elogiato “la volontà di Israele di concludere un accordo”, dando per certa l’approvazione di Israele alla bozza di accordo e precisando che “spetta ad Hamas accettarlo”. Nel frattempo, il leader dell’opposizione Yair Lapid continua a offrire al governo di Netanyahu “una rete di sicurezza” nel caso in cui i partiti di estrema destra si ritirassero per protesta. Resta viva la possibilità che Lapid, se Netanyahu non accetterà la proposta di accordo formulata dagli Usa, possa creare un governo alternativo che comprenda anche Gantz. Se l’ex capo dell’esercito dovesse lasciare il gabinetto di guerra, le proteste di piazza si rafforzerebbero, mentre verrebbe meno la legittimità che la partnership con i leader del partito centrista Unità Nazionale ha dato a Netanyahu sul fronte diplomatico.

Di fronte al moltiplicarsi delle crisi, Netanyahu, scrive Haaretz, ha solo una via d’uscita: sciogliere la Knesset e andare alle elezioni. Secondo il giornalista Aluf Bean, “questa è l’unica carta rimasta al primo ministro per raggiungere due obiettivi: portare avanti l’accordo di cessate il fuoco con Hamas e bloccare la sentenza che l’Alta Corte di Giustizia potrebbe presto emettere contro Haredim”. Lo scioglimento della Knesset rimanderebbe il problema della coscrizione ultraortodossa al prossimo anno e quindi al prossimo governo, che presumibilmente si troverà a prendere una decisione in circostanze diverse da quelle attuali. In questo scenario, Netanyahu potrebbe incolpare la Corte Suprema, da sempre capro espiatorio della destra, per la caduta del suo governo. A sostituire il governo Netanyahu ci sarebbe probabilmente un governo di transizione, che l’estrema destra di Ben-Gvir e Smotrich non avrebbe la forza di far cadere. Allo stesso modo, Gallant e Gantz, se il governo di transizione accettasse l’accordo di tregua e rilascio degli ostaggi proposto dagli Stati Uniti, non cercherebbero di ribaltarlo. È l’ultima speranza di Netanyahu, che potrebbe, ancora una volta, salvare la faccia.


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