Il dramma dell’anoressia comincia ormai a 8 anni. “Mamma, penso di aver già vissuto abbastanza” – .

Il dramma dell’anoressia comincia ormai a 8 anni. “Mamma, penso di aver già vissuto abbastanza” – .
Il dramma dell’anoressia comincia ormai a 8 anni. “Mamma, penso di aver già vissuto abbastanza” – .

“Credo, mamma, che in fondo basti tredici anni per aver vissuto” mi disse proprio così mia figlia Maria Beatrice in una sera d’autunno del 2020. Mentre pronunciava quelle parole, che mi gelarono il cuore, era calma, calma, lucida . Il suo sguardo era lontano. Lei mi guardò ma era come se non mi vedesse. Era uno sguardo che non l’avrebbe lasciata per molto tempo quando, alla comparsa dei primi sintomi dell’anoressia nervosa, io e mio marito avevamo cercato disperatamente professionisti competenti a cui affidarsi, tra la prima e la seconda ondata di Covid-19. . La sera in cui Maria Beatrice pronunciò quelle parole eravamo appena entrati in una spirale che ci avrebbe portato, in brevissimo tempo, direttamente nel mondo. «L’inferno, un inferno che nemmeno nel peggiore degli incubi avremmo potuto immaginare e che presto l’avrebbe vista per tre volte a un passo dalla morte.

In Italia l’anoressia è la prima causa di morte tra i giovani, dopo gli incidenti stradali. Una persona su tre soffre di disturbi dell’alimentazione e della nutrizione (DAN); Il 70% sono preadolescenti e adolescenti. L’anoressia rappresenta l’8% del DAN, ma è quella che genera più morti. La causa principale è il suicidio.

Come riferisce il dottor Leonardo Mendolicchio, psichiatra e psicoanalista, autore della prefazione di Se bastasse amore, direttore del dipartimento di Riabilitazione DAN dell’Auxologico di Piancavallo, l’anoressia ha un tasso di mortalità altissimo, ma paradossalmente anche un’altissima percentuale di guarigione. Il fattore determinante è che il trattamento inizi entro due anni dall’esordio e che l’anoressia non sia diventata cronica. L’età d’esordio è scesa a 8 anni, con casi di età anche più giovani, tanto che nel 2022 il dottor Mendolicchio ha aperto le porte di Auxologico ai pazienti in età evolutiva che rappresentano il 30% delle richieste di ricovero. I pazienti provengono dalle pediatrie di tutta Italia.

L’accesso alle cure, che è così cruciale, non è immediato, per usare un eufemismo. In Italia al momento sono 135 le strutture dedicate e meno della metà si prendono cura di pazienti sotto i 14 anni. Che dire allora dei preadolescenti che soffrono di anoressia nervosa? Chi è ad un passo dalla morte, ma viene rimandato a casa dal pronto soccorso, cosa può fare? A noi questo è capitato la prima volta, dopo aver implorato per mesi un posto letto ovunque finché Maria Beatrice fosse curata. Ed è successo in una città all’avanguardia, in un ospedale d’eccellenza. La seconda volta, due giorni dopo, a un passo dalla morte, è stata accettata e poi ricoverata in Neuropsichiatria infantile che non è però il luogo in cui dovrebbero essere curati i pazienti affetti da DAN. Quanto tempo ci vorrà perché il Sistema Sanitario Nazionale si rimetta in pari? Quante altre vittime?

Scrivere Se bastasse l’amore, raccontare il viaggio che ho vissuto insieme a mia figlia, con il sostegno determinante della mia famiglia, è stato testimoniare qualcosa che dall’esterno è inimmaginabile. L’ho fatto attraverso tappe temporali, in un viaggio che metaforicamente va dalla rapida caduta all’Inferno alla lentissima ascesa verso la luce del Paradiso, descrivendo a posteriori, in modo razionale e senza sconti per nessuno, men che meno per me stesso, le concause che aveva condiviso nell’esordio dell’anoressia, i sintomi, gli atteggiamenti, nonché le nostre relazioni e dinamiche familiari, la difficoltà di accedere alle cure prima e poi l’estrema complessità di interagire con mia figlia quando la sua mente era ormai completamente dominata dal mostro dell’anoressia. Mi sono ritrovata a convivere con tre persone, chiusa in una stanza 24 ore su 24: lei, io e il mostro.

Maria Beatrice era gravissima, pesava poco più di 30 chili. Tuttavia non voleva e non poteva fermare il suo movimento perpetuo. Questo comportamento compulsivo non le permetteva di sedersi, marciare sul posto, anche con i piedi ormai distrutti. Ho visto il suo corpo seccarsi come una foglia senza linfa, ricoperto di lanugine anoressica che serviva a fornirle un po’ di calore nel disperato tentativo di salvarla mentre i suoi organi cominciavano a cedere. L’ho vista riabbracciare, senza emozione, nella stanza del secondo ricovero, mesi dopo l’ultimo incontro, la sua sorellina, alla quale era sempre stata molto legata e una volta ripartita, intenta a marciare sul posto, raccontando io: «Mamma, io non provo più niente per Adelaide». Adelaide scrive poi nel suo diario: «Vedere mia sorella, che ha tre anni e mezzo più di me, diventare come una bambina, circondata dai peluche Stitch, con il sondino che le entra nel corpo e fissato al naso e il pigiama con il nastro adesivo bianco, l’acqua che gocciola con l’ago nel braccio, la lampada da terra che viene tirata ad ogni passo e quello sguardo vuoto e privo di emozioni, mi sconvolge e fa male. L’anoressia ha mangiato mia sorella e la sua mente, giorno dopo giorno. L’anoressia ti cambia e ti distrugge”.

In Se bastasse l’amore ho descritto dettagliatamente, attraverso le parole di Maria Beatrice, mie e di mia madre, come agiva quel mostro, cosa la costringeva a fare, e così illustrato l’equilibrio precario della sua mente in bilico, anche quando sembrava stare meglio, tra la voglia di scomparire e la voglia di lottare per vivere. Ho deciso che l’avrei scritto due estati fa, sei mesi dopo l’uscita dall’ultimo ricovero ospedaliero, quando, seppure ancora molto alle prese con il cibo e sottopeso, Maria Beatrice aveva ripreso consapevolmente il suo percorso di vita. Stavo guidando e, dopo il primo fine settimana con entrambe le mie figlie, per la prima volta da molto tempo, ho avuto l’opportunità di riflettere su quanto fossimo privilegiati. Ho pensato a quelle ragazze che avevo conosciuto negli ospedali che non ce l’avevano fatta e alle loro famiglie. Parte di quel dolore insopportabile sarà per sempre anche mio. Ho scritto il libro per poter dare una testimonianza di speranza a chi oggi lotta contro questo mostro invisibile che mina non solo la vita della persona che ne soffre, ma di tutti i suoi familiari. Per dimostrare gratitudine verso il personale medico-sanitario e per coloro che, durante il nostro percorso, mi hanno sostenuto e hanno partecipato al salvataggio di mia figlia. E non ultimo, l’ho scritto per tutte quelle mamme, disperate, smarrite, affrante che, nonostante questo, ogni giorno, in tutta Italia, lottano con tutte le forze possibili per poter far curare la propria figlia e spesso lo fanno in fronte all’indifferenza esterna. e con il peso lacerante dello stigma sociale, tanto antiquato quanto assurdo e inaccettabile, che li identifica come l’unica causa dell’anoressia della figlia. L’ho scritto con la speranza che possa essere utile. Lottare per il diritto alla tutela della salute mentale è per me un dovere morale, soprattutto per chi non ce l’ha fatta e per chi non ha voce per poterlo fare.

*Autore di «Se bastasse l’amore» (Piemme)

 
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