“Come una storia d’amore…”-NTR24.TV – .

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Ci sono storie di sport che assomigliano a storie d’amore. A maggior ragione se a raccontare non sono le luci di San Siro ma i riflettori di una piccola palestra. Storie di sport che spesso faticano, in Italia, a guadagnarsi spazio sulle prime pagine dei giornali. Se non una volta ogni quattro anni. Uno snobismo che si può riassumere in una definizione fastidiosa, sgradevole eppure così restia a scomparire: sport minori. Una diminutio che suona come un insulto alla passione, ai sacrifici, alle rinunce, alle vittorie e alle sconfitte di chi ha sposato un pallone segmentato o ovale piuttosto che un pallone da calcio. Per fortuna il tempo è gentiluomo. E ha memoria. Soprattutto per chi riesce a trasmettere l’amore per una disciplina a generazioni di ragazze e ragazzi. Fino a raggiungere il punto più alto, quando il tuo nome diventa sinonimo di quello sport. A Benevento è successo con la pallavolo, è successo con Michele Ruscello. “Da dove viene la mia passione? Non chiedermelo, non lo so. Dopotutto, l’amore non conosce ragioni. Né si può discutere. Oppure non c’è. Forse è stato grazie ai miei fratelli che ci giocavano ai pompieri, forse è stato grazie al fatto di essere cresciuto davanti alla palestra”.

Eppure deve esserci stato un momento in cui hai deciso che la pallavolo sarebbe stata il tuo sport

“A dieci/undici anni ho deciso di diventare bravo a pallavolo. E ho capito che per fare questo dovevo rafforzarmi innanzitutto dal punto di vista atletico. Poi ho cominciato ad allenarmi con costanza al campo del Coni: Decathlon, Octathlon, Triathlon, lancio del disco, salto in alto. Molti titoli vinti. Ma tutto era finalizzato a diventare un buon pallavolista. I miei anni sono passati così: da ottobre a marzo la pallavolo, da aprile a settembre l’atletica”.

Il contesto pallavolistico beneventano di quegli anni?

“Nel 1970 esistevano già realtà consolidate. Partendo, ovviamente, dal Grippo per arrivare alla Libertas Luigi Sturzo che mi piace ricordare come Virtus Mario Parente, per il legame con la famiglia di Mario, morto – purtroppo – giovanissimo. Fu la famiglia Parente a donare al Comune il terreno dove fu costruito il Palazzetto dello Sport dedicato a Mario. Per tornare al gruppo sportivo Grippo, esso venne costituito – per volontà dell’allora comandante dei Vigili del Fuoco, Antonio Barone – nel 1959, anno della mia nascita. Poi c’erano molte altre squadre. Anche il gruppo sportivo Meomartini, all’epoca, giocava anche a pallavolo. E a buoni livelli. Il Grippo, però, aveva iniziato a disputare campionati importanti, tra Serie B e Serie C. Per non parlare della squadra giovanile, capace di mietere successi su successi a livello regionale, fino alla qualificazione alle fasi nazionali di Trento. Risultati che diedero impulso al movimento: nel 1973 arrivarono le prime convocazioni di atleti del Benevento nella Nazionale juniores, con Antonio Delcogliano e Paolo Basile. E poi Gaetano Amato e Franco Forte. Finché non è toccato a me, con la Nazionale Under 18”.

Eppure il suo esordio in prima squadra c’era già stato

“Non avevo nemmeno 13 anni. Appresa la notizia della prima convocazione, comunicatami per strada dal prof. Castracane, ho cominciato a correre dalla gioia, rischiando anche di essere investito. Far parte della prima squadra a quell’età mi ha fatto crescere molto, condividendo lo spogliatoio con persone molto più grandi di me. Atleti come Franco Forte o i fratelli Pedicini mi hanno insegnato molto. Ho un solo rammarico, non aver avuto la fortuna di giocare con Pio Pedicini. Con le giovanili, però, le soddisfazioni non erano finite: nel 1973 arrivò il titolo regionale ai Giochi della Gioventù e quindi la partecipazione alla fase nazionale a Roma, dove terminammo all’ottavo posto”.

Esperienze fuori Benevento?

“Indimenticabile in Emilia, con Modena Panini. Sono andato lì perché avevano un settore giovanile forte: con le juniores puntavano a vincere il campionato nazionale. Un’esperienza che non dimenticherò mai. Sono stato accolto molto bene da tutti e un campione come Pupo Dall’Olio mi ha preso sotto la sua protezione: ha preteso di fare con me tutti gli allenamenti a coppie. Ma dopo un po’ ho deciso di tornare al Benevento”.

Perché?

“Essere accanto ai miei genitori. Ero l’ultimo di quattro fratelli, i primi tre si erano sposati e se n’erano andati per la loro strada, due se ne erano andati del tutto. In breve, ero di fatto figlia unica. La cosa incredibile è che lo stesso giorno del mio ritorno ho conosciuto una ragazza, che poi è diventata la mia fidanzata e poi mia moglie. E ovviamente mia madre si convinse che fossi tornato per la ragazza e non per stare accanto a lei e a mio padre”.

Un salto in avanti nel tempo, arriviamo al 1986: come nasce l’Accademia Pallavolo?

“Come forma di protesta”.

Storie

“Per difendere due giocatori che la società – parliamo ora del Benevento Volley – voleva fuori dal gruppo, sono entrato in rotta di collisione con Antonio Buratto e Antonio Feleppa. Uno scontro duro anche nei toni, che si risolse qualche tempo dopo. Buratto, purtroppo, non c’è più ma ci tengo a sottolineare come, nonostante le differenze, non ho mai perso la consapevolezza di quanto importante e decisiva sia stata la sua azione per la crescita della pallavolo beneventana”.

E così ha lasciato il Benevento Volley per fondare l’Academy

“Praticamente mi è stato detto che o sono fuori loro oppure sei fuori anche tu. E non avevo voglia di lasciare soli due compagni che erano anche due amici. Insieme a Luigi De Nigris abbiamo fondato l’Accademia con l’obiettivo di dare l’opportunità alle ragazze e ai ragazzi di Benevento di giocare a pallavolo. Si è unito a noi anche Franco Petriello. Ma c’è una figura che voglio ricordare, il padre di Gino: Tonino De Nigris. Ci ha sempre sostenuto, con grazia e delicatezza, senza mai darlo a vedere. Ti ho detto qual era il nostro obiettivo. Ma avevamo anche un sogno”.

Vale a dire?

“Serie A”.

Che arriverà nel 2008: quali emozioni ricordi?

“Ho avuto la fortuna di vincere diversi campionati, sia da giocatore che da allenatore. A Napoli, con il Cus, siamo stati promossi anche in Serie A. Ma la gioia che mi ha dato – da allenatore – la vittoria del campionato di B1, e quindi la promozione in A2, non posso neanche descrivervela. Davvero un sogno.”

Passiamo ad un altro ricordo indelebile per i beneventani: la Coppa di Beach Volley

“Una grande intuizione di mio nipote Dante e Massimo Pedicini. Sono stati loro a pensare di organizzare un torneo di pallavolo ‘4 contro 4’ a squadre miste, sul campo all’aperto de “La Fagianella”. Un successo e da qui l’idea di portare il beach volley nelle strade del Benevento. Non nascondo un certo scetticismo iniziale, poi uno studio sullo sport e tempo libero condotto sui bambini di Benevento mi ha convinto della giustezza dell’iniziativa: facciamolo! A Dante e Massimo si unì un altro pazzo, Renato Melillo. E parlo di pazzi perché il loro impegno è stato davvero pazzesco. Dalle due settimane precedenti e fino alla settimana successiva alla manifestazione, Dante visse – visse letteralmente – in Piazza Risorgimento. E così Massimo, factotum di ogni situazione. Quanto a Renato, girava per tutti i negozi e per tutti gli esercizi commerciali della città e non solo in cerca di sponsor. Il risultato? Un evento nato per gioco – il primo anno l’illuminazione era fornita da due faretti legati con il filo ai lampioni – è diventato in pochi anni una vetrina d’eccezione per Benevento. Il livello della competizione raggiunse vette altissime, tanto che per due anni consecutivi Sky trasmise le partite in diretta da Piazza Risorgimento. E poi la cosa più bella: la partecipazione del Comune. Facevamo sport ma anche socializzavamo. Tutti insieme: ragazzi, genitori e figli. Giorni meravigliosi.”

Un’esperienza ripetibile?

“Sicuramente ne sarei felice. Ma è anche vero che tutto ha un inizio e una fine”.

Abbiamo parlato tanto di sport ma tu sei anche il preside di una delle scuole più amate dai beneventani

«Il più trafficato della provincia, per il primo ciclo. Sia chiaro: quest’anno siamo stati gli unici nel Sannio a possedere tutti i requisiti necessari per mantenere l’autonomia. Cosa posso aggiungere? Da Sant’Angelo a Sasso ho ricevuto tantissimo. E ho dato tanto. Quando sono entrato in carica la situazione era molto diversa. Oggi è diventato un riferimento assoluto e sono molto felice per il corpo docente e il personale Ata. Il merito va a tutti coloro che hanno contribuito alla crescita dell’Istituto. Ancora pochi giorni e sarò in pensione. Sereno. È stanco”.

In breve: la pensione arriva al momento giusto

“Sono al mio 43° anno di servizio attivo. In tutto questo tempo sono stato assente per meno di trenta giorni. La stanchezza è fisiologica, anche perché oggi gestire una scuola è diventato molto più complicato. Soprattutto, una scuola così grande e popolare. Posso però dire che sono felice del sostegno che i miei genitori mi hanno sempre dato. Poi sì: su mille famiglie trovi sempre una cinquantina di scienziati…”.

E Sant’Angelo a Sasso è pronto a lasciarla andare?

“Questi giorni sono un susseguirsi di sorprese. Qualche giorno fa i bambini di una classe di prima elementare mi hanno regalato una busta piena di appunti: tutti volevano scrivere il loro personale saluto alla preside. E la settimana scorsa un’altra première mi ha fatto addirittura un regalo! Queste sono le vere gioie, quelle che ti danno la forza”.

 
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