La storia della Processione del Venerdì Santo raccontata da Michele Grimaldi – .

La storia della Processione del Venerdì Santo raccontata da Michele Grimaldi – .
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Riceviamo e pubblichiamo il racconto della storia della Processione del Venerdì Santo realizzato dall’Archivista di Stato, Michele Grimaldi.

Quando il poeta dialettale “Giggi” Zanazzo diceva che a Roma “al tempo del Papa c’erano più precisazioni che preti”, non diceva cose lontane dalla verità. Basta verificarlo, anche per la nostra città, nelle cronache dell’epoca: non c’era chiesa o confraternita che non svolgesse una processione durante tutto l’anno, come si fa anche oggi. Oltre a quelle maggiori che coinvolsero tutta la città, importanti furono quelle per le solennità mariane, particolarmente sentite dalla gente comune che aveva venerazione per le varie immagini della Madonna conservate nelle chiese e nelle sacre edicole, così come vi erano numerose le processioni organizzate dalle varie confraternite in occasione della Settimana Santa.
Per tutte queste occasioni si svolgeva una rigida cerimonia nella quale venivano elencati con precisione sia l’abbigliamento che le regole su chi dovesse avere la precedenza nel corteo. Fu una delle rare occasioni in cui le diverse classi sociali si trovarono fianco a fianco, anche se la popolazione spesso perse di vista le finalità religiose.

In questo contesto storico-religioso va inserita la Processione del Venerdì Santo a Barletta. Innanzitutto dobbiamo inquadrarlo da un punto di vista religioso. Il tradizionale evento, una delle più antiche espressioni di fede e di spiritualità della comunità barlettana, rappresenta per i credenti un momento molto speciale e questo significato centrale non va mai dimenticato, un momento di intensa emozione collettiva. In questa speciale occasione, in una giornata di profonda spiritualità, i barlettani riscoprono le proprie radici cattoliche e la comunità si riunisce per celebrare forse la più grande testimonianza di fede vissuta nella nostra città.

Sono molti, infatti, gli elementi unici che contraddistinguono l’evento: uno degli anniversari più importanti nella vita dei fedeli e non, attraverso il quale la Città si ritrova, in tutte le sue componenti, a coniugare spiritualità e partecipazione popolare, fede e devozione. , mondo religioso e mondo laico, arte e cultura che completano il mosaico di una Barletta dalla storia antica ma che guarda al futuro senza rinunciare alle proprie radici. Chiunque abbia avuto modo di assistere nel corso degli anni alla Processione conserva dentro di sé il ricordo di un’emozione fortissima, scandita dai ritmi dei portatori della splendida Urna.

A questo punto è doveroso fare un passo indietro e spiegare la nemesi dell’evento. Tutto risale al voto che la Città di Barletta pronunciò in occasione della cessazione della peste del 1656 (copia di quel voto fu donata a Papa Francesco il 4 maggio 2022 durante l’udienza generale di mercoledì) quando i nostri avi, vista l’incredibile virulenza del contagio, ricorsero all’unico “Benefattore” e alla sua divina misericordia, affinché la peste fosse debellata.

Sfogliando le pagine ingiallite della Storia, si può notare come la Processione esistesse già dal 1504 e anche in quell’occasione la fede venne utilizzata per fermare un’altra epidemia di peste. I tempi e le modalità della prima processione sono solo immaginabili non essendo possibile accedere ad alcune fonti per il semplice motivo che non sono disponibili, ma si può immaginare che il tutto sia avvenuto nella notte tra il giovedì e il venerdì santo in questo momento cui l’epidemia aveva raggiunto il suo punto più virulento e mortale. In vari documenti rinvenuti dal 1592 fino al “famoso” 1656, la Processione del Giovedì o Venerdì Santo viene citata senza ombra di dubbio.

Un cambiamento “epocale” si ebbe con un provvedimento di Ferdinando IV del 24 marzo 1769, con il quale si ordinò, per ragioni di sicurezza, che le processioni non venissero più svolte durante la notte e di conseguenza quella della Settimana Santa venne spostata al pomeriggio del giorno Venerdì. Tra le processioni che si sono susseguite nel corso dei secoli, la lente d’ingrandimento va senza dubbio posizionata su quella del 1656 e questo anche perché l’evento è stato immortalato e “certificato” da un atto notarile conservato presso la Sezione dell’Archivio di Stato di Trani.

Le cronache dell’epoca riportano l’inspiegabile e improvvisa cessazione della peste che non fece più vittime (la peste che colpì Barletta uccise tra le 8.000 e le 13.000 persone) proprio nella notte tra il Giovedì Santo e il Venerdì Santo, quando una nevicata di incredibile intensità mentre si svolgeva la processione passava nei pressi dell’attuale Via Romania. A seguito della fondamentale intercessione ricevuta, non solo il clero ma l’intera città di Barletta ha “formalizzato” il Voto di Grazie.

Nell’atto notarile del notaio Leonardo Cellammare del 29 luglio 1656 si legge “…Poter dire con verità che nelle universali miserie che affliggono in questi tempi questo regno: manus Domini tetigit nos (la mano del Signore ci ha toccato) … che con la piaga del contagio ha cominciato pochi giorni fa a punire i nostri peccati e le nostre malefatte… Allora noi Sindaco (Marco Antonio Bonelli), Eletti e Deputati a nome di tutto il Pubblico… facciamo voto e prestiamo giuramento, intendendo obbligare la nostra vita e quella di tutti i nostri cittadini presenti e futuri (attenzione!), a far realizzare un trofeo della divina misericordia, affinché questa città sia libera dal contagio: una cassa o urna d’argento del valore di duecento scudi, nella quale portare il Santissimo Sacramento in processione per la città la sera del Venerdì Santo”.

Ciò potrebbe essere considerato un semplice atto di magnanimità da parte dell’amministrazione dell’epoca se la sentenza fosse letta estrapolandola dal contesto del “Voto” fatto dalla “Fedelissima Città di Barletta in occasione del contagio”. Avete capito bene perché ciò di cui stiamo parlando, ma che alcuni vorrebbero travisare nel suo effettivo significato, è proprio un “Voto”. Nel contesto religioso il voto è definito come una promessa fatta a Dio. La promessa è obbligatoria e quindi differisce dalla semplice risoluzione che è l’intenzione presente di fare o non fare determinate cose in futuro. E la scelta della forma “promessa vincolante” non è stata fatta da nessun cittadino ma, come si legge nell’atto notarile, dal Sindaco con Eletti e Deputati (gli attuali consiglieri comunali).

La promessa quindi era ed è vincolante ancora oggi, prova ne è che la processione eucaristico-penitenziale del Venerdì Santo vive, anche ai nostri giorni, un momento di comunanza tra profonda spiritualità e importante partecipazione laicale. Una considerazione per il Sindaco che solitamente indossa la fascia ufficiale con una candela accesa in mano. Sicuramente il Primo Cittadino o il suo rappresentante deve essere consapevole che accendere una candela e offrirla è un modo per affermare il proprio desiderio di seguire l’esempio di Gesù, di essere “luce del mondo”. Esprime anche il desiderio di affidare le sue parole e i suoi pensieri al Signore, alla Madonna e ai santi. È una richiesta di aiuto, di una luce che illumini dall’alto la nostra vita, magari in un momento in cui ci dibattiamo nelle tenebre e che tenebre!

Per quanto riguarda la “cassa o urna d’argento del valore di dugento scudi” secondo la ricostruzione fatta dallo storico barlettano Salvatore Santeramo, la prima urna di cui si abbia notizia fu donata dalla nobile Antonia Marulli prima del 1719. Nel Bonorum di quell’anno, firmata dal nobile Affajtati, dell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento di Santa Maria Maggiore in San Pietro, l’urna in questione viene nominata e descritta per la prima volta, “di velluto nero guarnita di argento massiccio”.

Sempre nei documenti della stessa Arciconfraternita del Santissimo è menzionata una seconda urna donata dal frate Don Ignazio de Queralt, tutta in argento massiccio. Se ne parla in una nota nel Bonorum del 1755 e poi, integralmente, in quello del 1795. Negli avvenimenti accaduti in seguito al passaggio delle truppe francesi tra marzo e aprile 1799, fu avanzata una richiesta al comune di Barletta, dal generale Sarascin, la somma di ventimila ducati, secondo quanto riferisce monsignor Salvatore Santeramo. Il verbale della riunione dell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento del 15 settembre 1799 riporta che il priore Antonio De Leone fece sapere che l’urna di de Queralt era stata consegnata ai francesi il 20 aprile dello stesso anno come “riparazione per la somma richiesta”. . Nella stessa riunione si decise di provvedere alla costruzione di una nuova urna.

Dopo aver raggiunto la somma necessaria, attraverso una “colletta” tra le famiglie più in vista della città, venne dato mandato al console e argentiere Antonio Guariniello; membro di una delle più prestigiose famiglie di argentieri attiva a Napoli dalla seconda metà del 1600 alla fine del 1700 per rifare l’urna e Camillo Elefante, lo riporta nella sua “Cronaca” datandone la consegna all’11 aprile 1800, Buon venerdì di quell’anno.
Infine, un passaggio davvero toccante delle celebrazioni è l’esecuzione del “Christus”, opera di intensa e sacra bellezza del maestro barlettano Giuseppe Curci, che quest’anno torna ad essere rappresentata in Piazza Plebiscito, sul sagrato della chiesa di San Gaetano, a conclusione della sacra processione.

Insomma, questa manifestazione di fede profonda non può e non deve essere considerata una semplice tradizione popolare. Il motivo vive nel suo vero significato, riconducibile al mistero stesso della Pasqua e della Resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo come dono dell’Eucaristia che viene portata in processione, caso unico al mondo grazie alla Bolla del Leone proprio nel Passione, Morte e Resurrezione celebrate ogni anno con il Triduo Pasquale.

 
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