«Un Paese dipendente, chiudi i rubinetti» – .

Giancarlo Giorgetti ha capito che bisognava fare qualcosa il 13 marzo, perché si rischiano i conti dello Stato e quindi anche lui come responsabile dell’Economia: il ministro non è disposto a firmare bilanci che minano la credibilità di un debitore di quasi tremila miliardi di euro.

Se quel giorno di due settimane fa ha determinato la svolta del decreto di martedì è perché sono usciti i dati sui crediti d’imposta immobiliari corrisposti dallo Stato per i primi due mesi dell’anno. La situazione era talmente fuori controllo che Giorgetti la definì causticamente così: «Un Paese dipendente». Di cosa, è ovvio: il totale dei bonus per la ristrutturazione delle case italiane da ottobre 2020 a questo mese ha probabilmente superato i duecento miliardi di euro, visto che a metà novembre era già a 160 e da allora non ha fatto altro che crescere. A titolo di confronto, il fondo sanitario nazionale finanziato dallo Stato vale quest’anno 36 miliardi e il contributo
dall’Italia all’Ucraina 1,3 (in totale dall’inizio della guerra).

Altri 14,7 miliardi sono stati divorati solo nei mesi di gennaio e febbraio

Solo tra gennaio e febbraio il Superbonus per le ristrutturazioni ambientali ha divorato altri 14,7 miliardi (Corriere del 14 marzo), ma la produzione di nuovo debito pubblico con questo strumento nei primi due mesi dell’anno è stata di almeno venti miliardi: più cinque abbondanza dovranno essere a sinistra la versione dedicata alle misure antisismiche. Negli ultimi tempi il peso di questi ultimi è cresciuto in proporzione al Superbonus complessivo; eppure, incredibilmente, per il Sismabonus – dopo 25 miliardi di costi – non esisteva ancora alcun meccanismo di monitoraggio. I lavori sono fatti, maturano ingenti crediti d’imposta da parte dei privati, ma lo Stato si accorge di aver assunto nuovo debito solo ex post: quando questo apparirà sul radar dell’Agenzia delle Entrate, magari più di un anno dopo i lavori di ristrutturazione già eseguiti.
In realtà il governo di Mario Draghi aveva previsto il monitoraggio del bonus Super-Sisma nell’aprile 2022, con decreto. Ma poi in questi due anni non è stato attuato. Risultato: nei mesi scorsi il governo, di nascosto, ha dovuto togliere il Sismabonus dalle misure finanziabili con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (perché non è stato in grado di riportare alcun risultato) e con i fondi del Pnrr così risparmiati ha finanziato ancora di più più l’odiato Superbonus “verde”.

Con questo decreto Giorgetti spera di aver chiuso le scappatoie

Ora, con il decreto di martedì, Giorgetti spera di aver chiuso le scappatoie. Ieri, in un incontro privato, ha espresso fiducia di poter confermare nel Documento di economia e finanza (Def) del 10 aprile una previsione di deficit pubblico pari al 4,3% del prodotto lordo per quest’anno, come già indicato in autunno. Ma il ministro sa che non sarà facile: nemmeno l’ultimo decreto elimina tutte le code dei Superbonus avviate tra il 2022 e l’inizio del 2023; il lavoro nella maggioranza per ammorbidire le misure sul bonus Sisma è già iniziato; mentre anche i crediti d’imposta alle imprese Industria 4.0 superano le previsioni, di circa lo 0,2% o lo 0,3% in più di deficit all’anno – in proporzione al PIL – almeno fino al 2025.

«Se la relazione tecnica è fatta male, va fatta meglio»

La situazione è quindi tesa. Lo si è visto ieri alla Camera quando Giorgetti si è lasciato scappare un’altra battuta tagliente, questa volta rivolta a una struttura del suo stesso ministero: «Se la relazione tecnica sarà fatta male – ha detto – informeremo la Ragioneria generale dello Stato che è fatto male e farlo meglio”. Si parlava di privatizzare una quota di Poste Italiane, ma la frecciata di Giorgetti al commercialista dello Stato Biagio Mazzotta non sembra casuale. Il ministro avrebbe già discusso a Palazzo Chigi dell’idea di sostituire Mazzotta dopo il Def di aprile, additandolo in qualche modo come il primo responsabile della grande deriva dei bonus. Certamente queste ultime sono state sostenute in vario modo da tutti i partiti dei due poli – anche dall’attuale maggioranza – e la stima dell’impatto spettava al dipartimento delle Finanze. Certo è che Mazzotta ha recentemente sollevato dubbi sul decreto di revisione del Pnrr, mentre le misure del governo per una riscossione “più morbida” sollevano interrogativi anche sul loro impatto sui conti. Le relazioni tecniche della Ragioneria diventano così esercizi delicati, ancor più in vista di una prossima legge di bilancio molto difficile. Lo stesso Mazzotta era al Quirinale all’inizio di questo mese.

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