Micaela, più forte del “peso minimo”. L’anoressia si cura – .

Micaela, più forte del “peso minimo”. L’anoressia si cura – .
Micaela, più forte del “peso minimo”. L’anoressia si cura – .

Micaela, di cognome Bozzolasco, sorride ai ragazzi del pubblico e si scusa per l’emozione: “Non sono abituata a parlare davanti a così tante persone”. L’aula universitaria (è l’Università Cattolica di Roma, sono i primi di maggio) è gremita e tutti pendono dalle sue labbra, perché la storia che racconta di sé è di quelle che le entrano nelle ossa.

E si comincia dalle ossa, il termine che Micaela usa sempre per spiegare cosa le è successo, quando era poco più che una bambina, quando è iniziata la sua infinita storia di anoressia. Proprio come accade a un adolescente su tre che, secondo le ultime agghiaccianti statistiche, inizia a soffrire dei cosiddetti “disturbi alimentari” prima dei 14 anni: «Mi sentivo solo, sentivo il freddo nelle ossa. Sentivo che nessuno poteva vedermi per quello che ero ed ero il primo”.

Questa quarantenne genovese che sembra una ragazzina e non smette mai di sorridere è malata di anoressia da metà della sua vita. Ma non vuole parlare della sua malattia, del “peso minimo” raggiunto, degli ospedali, del terrore negli occhi di mamma e papà che non capivano cosa le stesse succedendo e perché avesse deciso di non mangiare finché non morì. “Il punto non sono i numeri, né le misurazioni”.

Il punto è Micaela, con la guarigione: «Ci è voluto molto tempo per capire che dovevo chiedere aiuto. Mi ha aiutato a non fermarmi davanti ad alcuni medici che mi parlavano del mio “disturbo” come se fosse un mio capriccio, qualcosa che potevo controllare, che avevo scelto – spiega. C’era bisogno di cure adeguate, cosa che alla fine ho scoperto. C’era bisogno di uno sguardo su me stessa, di rapporti che piano piano sono riuscita a cucire e ricucire, quando mi sono tolta gli occhiali da sole con cui vedevo tutto nero e ho ricollegato la testa al corpo”.

Non è un racconto horror a impressionare il pubblico dei giovani, visibilmente commosso, non la discesa agli inferi della privazione alimentare, del dimagrimento, della solitudine. Gli occhi di Micaela si illuminano quando racconta la prima mattina in cui, uscendo di casa, ha visto la temperatura sulla croce della farmacia: «Perché quando camminavo, prima, lo facevo a testa bassa, vergognandomi di quello che ero». La vita è ricominciata e quando si sveglia non ce la fa: «Ho sprecato troppo tempo, ho sprecato troppi giorni. Sono pieno di voglia di vivere”.

È la forza motrice che l’ha spinta a non fermarsi alla guarigione, ma a impegnarsi affinché anoressia e bulimia vengano riconosciute come malattie, affinché le famiglie non si sentano più sole. Ed è questo che l’ha messa sulla strada di Stefano Tavilla, un padre che non è riuscito a salvare sua figlia, csu cui ha fondato il Fiocchetto Lilla, l’associazione che in Italia è in prima linea sul fronte di questa emergenza di cui il 2 giugno si celebra la Giornata mondiale.

Un’altra foto di Micaela con Stefano Tavilla e un altro membro del Fiocchetto Lilla – .

Poche, pochissime buone notizie. E non solo perché in Italia nel 2000 si contavano 300mila malati e oggi sono ben più di 3 milioni (di cui buona parte adolescenti, come si diceva poco fa, e sempre più maschi) e perché lo scorso anno le vittime del cibo sono state 3.780, il numero che quelli del Fiocchetto Lilla portano cucito sulle magliette. «Tra i disturbi alimentari ci sono patologie sempre meno conosciute come l’ortoressia (cioè la ricerca ossessiva di una dieta sana), la vigorossia (eccessiva attenzione alla forma fisica), la diabulimia (pazienti con diabete di tipo 1, che omettono l’insulina per perdere peso) o disturbo da alimentazione incontrollata (Disturbo da alimentazione incontrollata), caratterizzate da grandi abbuffate senza metodi di compenso, a cui fa seguito un aumento di peso e, spesso, l’insorgenza di patologie come l’obesità” spiega Laura Dalla Ragione, psichiatra, direttrice della rete umbra (Usl1) contro i disturbi cerebrali del comportamento alimentare, docente presso il Campus Biomedico di Roma e direttore del numero verde “SOS Disturbi Alimentari” 800180969 istituito a Todi dalla Presidenza del Consiglio e dall’Istituto Superiore di Sanità. Per Dalla Ragione chi opera nel campo dei disturbi alimentari si è trovato negli ultimi anni a dover lottare contro un fattore molto potente nella diffusione del disturbo: i social media.

«Oggi i canali attraverso i quali ragazzi e ragazze possono attingere informazioni riguardanti metodi pericolosi per dimagrire si sono moltiplicati a dismisura – rileva l’esperto -. E non solo: app per il conteggio delle calorie o per il dispendio energetico sono alla portata di tutti, e anche il semplice utilizzo dei social media influisce sull’autostima e contribuisce a cambiare l’immagine corporea di chi ne fa uso, portando ad un aumento della sintomi depressivi, interiorizzazione di ideali di magrezza, pratiche di monitoraggio corporeo”.

Insomma, il tempo (immenso) trascorso online e lo sviluppo di malattie legate al cibo appaiono fortemente correlati nei più giovani. La giornata che si celebra oggi è l’occasione per sferrare un colpo, a pochi mesi di distanza dalle polemiche con il governo per il taglio, poi invertito, dei fondi alla già carente rete assistenziale del nostro territorio: se infatti l’istituzione di ambulatori multidisciplinari ha costituito un importante passo avanti nel percorso di cura dei pazienti, «questi ultimi sono ancora presenti in modo troppo disomogeneo sul territorio italiano – prosegue Dalla Ragione -. Delle 136 strutture censite nel 2023 dall’Iss, il maggior numero di centri (69) si trovano nelle regioni del Nord, 26 sono ubicati al Centro, 41 sono distribuiti tra Sud e Isole. Il Ministero della Salute ha deciso di rifinanziare il Fondo Nazionale con 10 milioni di euro per il 2025, ma aspettiamo ancora di vedere inseriti i cosiddetti “disturbi alimentari” nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) per garantire l’assistenza ai pazienti in modo strutturale”. E speriamo che storie come quella di Micaela non restino casi isolati o colpi di fortuna.

 
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