Recensione degli sfidanti – .

Recensione degli sfidanti – .
Descriptive text here

Zendaya, Josh O’Connor e Mike Faist sono i tre cardini del triangolo sentimentale e sessuale raccontato dal regista attraverso il tennis (mal girato, ma colto nella sua essenza di lotta psicologica). La recensione di Challengers di Federico Gironi.

Probabilmente molti appassionati di tennis (forse fan pre-Sinner) sentiranno un po’ di dolore nel cuore o negli occhi quando vedranno come farlo Luca Guadagnino ha girato alcune scene del gioco, privilegiando l’estetica del cinema (i suo dell’estetica del cinema), a quella dello sport: ma potranno trarre ispirazione dal modo in cui il regista ha colto l’essenza più profonda della disciplina, ovvero il suo essere una schermaglia psicologica prima che fisica. Come l’amore, come il sesso.
Per coincidenza, a Sfidanti fa dire al personaggio interpretato Zendaya che una partita di tennis, nella migliore delle ipotesi, è come una relazione: è quindi sul campo da gioco che Guadagnino dispiega una battaglia che è sportiva in superficie, sessuale e quasi esistenziale sotto.

Un campo da giocoquello di Guadagnino, che non è solo il campo da tennis, ma anche lo schermo del cinemae che il regista sembra – scusate il gioco di parole – abbia voluto trasmettere molto campo.
Tra bromance, glutei maschili in bella vista, il discorso diffuso e sventolato del gallo come organo e come simbolo, sudorazione profusa, abbracci ambiguamente fraterni e scambi di colpi tennistici e non, banane e churros mangiati con esibita e innocente ambiguità insieme, le mani sulle cosce e le sedie avvicinate continuamente, come per stringersi insieme in qualcosa che non può che tradursi in un abbraccio finale, il rapporto tra Patrick di Josh O’Connor e Art di Mike Faist è chiaramente – e in un certo senso grottesco – omoerotico fin dai primi minuti. Ben prima che si manifesti un po’ goffamente in quel bacio tra i due, solo a metà casuale, che il trailer del film astutamente omette.
Guadagnino sembra che si diverta molto a raccontare questi due personaggi, e a raccontarli in quel modo, anche nei loro reazione testosterone al bacio omosessuale, che si traduce nell’ansia tutta maschile e un po’ macha di vincere lo stesso trofeo: Tashi di Zendaya.

Un triangolo, quindi. Alla base, Patrick e Art, due modelli maschili stereotipati ma funzionanti e funzionali: il caldo e il freddo, lo spaccone sicuro di sé che però non fa nulla nella vita, e il bravo giocatore che raggiunge i vertici del suo sport ma senza gioia, sempre insicuro, senza palle, castrato da una donna – Tashi, la top, in tutti i sensi – che è sua moglie, allenatrice, manager. E forse, suo malgrado, anche mamma.
Attraverso salti un po’ arditi avanti e indietro nel tempo (soprattutto all’inizio, perché si rimane un po’ stupiti dal fatto che un giocatore tra i migliori al mondo come Art stia giocando un sfidanteun torneo molto minore), Guadagnino propone la stratigrafia della loro storia e delle loro relazioni: l’amicizia decennale tra i due, l’incontro con lei, che prima sceglie l’uno e poi l’altro, il non detto, i segreti, i dubbi e le paure. Soprattutto, le traiettorie del desiderio (più espresso che percepito), che passano o si incrociano. Che sono anche le traiettorie del dominio, del potere.

L’unica che non ha mai paura, e che ha il dominio in tasca fin dall’inizio, è lei, Tashi. La donna.
Se Patrick e Art sono, ciascuno a suo modo, due figure maschili che non spiccano per intelligenza, maturità e autonomia, che a volte risultano irritanti nell’esposizione frontale dei rispettivi difetti, ma che comunque non finiscono mai per essere Davvero antipatico (semmai un po’ patetico), Guadagnino non ha affatto paura di dipingere il ritratto di una donna determinata, certo, bella e talentuosa, ma così determinata da diventare calcolatrice, opportunista, senza scrupoli, sprezzante. Ecco: certamente non carino, no.
Non so se valga la giustificazione che ad un certo punto gli viene in mente, cioè che non ha né il tempo né la voglia di prendersi cura di due bambini bianchi birichini. Uno scherzo forse al limite della gratuita, visto come e quando arriva. Viene il dubbio che solo un regista dichiaratamente omosessuale come Luca Guadagnino avrebbe potuto girare oggi un film così spietato con e come la sua protagonista femminile. E soprattutto farlo in modo così divertente.

Eppure, se Sfidanti funziona, nel suo essere a Divertissement ultra-camp e ultra-glossy in cui si alternano brad sportivi e di lusso, ricchi di immagini stilizzate, esagerazioni stilistiche e ammiccamenti omoerotici, il tutto condito dalla musica elettronica martellante e trascinante di Trent Reznor e Atticus Ross, oltre che dalla voglia di prendersi un po’ sul serio, funziona perché ha il coraggio di raccontarsi tre personaggi che, con diverse sfumature di positivo e di successo, non hanno nulla. Alla fine tre perdenti, ognuno in modo diverso e pieni di risentimento, nascosto sotto strati di controllo e amore represso.
E i tre attori, con Zendaya anche come produttore, sembrano tutti molto contenti e consapevoli di questa scelta del loro regista.

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

PREV Casa in affitto, di Sopon Sukdapisit. La recensione – .
NEXT Il canto della terra. La recensione – .