“Per il Napoli sarei disposto ad allenare anche gratis!” – .

“Per il Napoli sarei disposto ad allenare anche gratis!” – .
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10 maggio 1987, il giorno del primo scudetto del Napoli, ero nel sottopassaggio con altri raccattapalle in attesa che la squadra, con Diego in testa, scendesse in campo per la partita contro la Fiorentina che avrebbe segnato quella che resta la gioia più grande per ogni tifoso azzurro. Ancora oggi pensarci è un’emozione pazzesca. Quando penso a ciò che ho fatto e ottenuto da allora, sembra tutto incredibile. Anche per questo con la Fondazione Cannavaro-Ferrara, con Ciro e mio fratello Paolo, abbiamo deciso di restituire almeno una parte della fortuna avuta. Chiaramente siamo noi che ci abbiamo messo la faccia, rimanendo in primo piano, ma i risultati sono di tutti coloro che lavorano ogni giorno per questo progetto, permettendo alle persone di vivere in prima persona tutto ciò che realizziamo con grande orgoglioO”, queste le dichiarazioni di Fabio Cannavaro nel corso della settima puntata della seconda edizione della trasmissione Legends – Ci vediamo a Napoliprodotto da Media Company Nexting e Sportface, trasmesso su Sportitalia e Napoflix, oltre che on demand sulla piattaforma Sportface TV.

La mia esperienza come allenatore in Cina è nata grazie a Marcello Lippi. Quando ha deciso di trasferirsi dietro una scrivania e diventare dirigente ha voluto mettere in panchina una persona di sua totale fiducia. Così mi ha chiamato, proponendomi la questione. Gli ho detto che avrei accettato, ma purtroppo dopo 3 mesi se n’è andato. Io e il resto dello staff siamo rimasti al nostro posto, ottenendo anche risultati importanti, ma dopo qualche tempo la società ha deciso di voler cambiare, tagliando i ponti con il passato e con chiunque ritenesse troppo vicino allo stesso Lippi. È stato un peccato, perché ho lasciato la squadra prima in classifica e poi ha vinto il campionato e la Champions League asiatica. Due anni dopo ho avuto l’opportunità di ritornare e ho portato la squadra dalla Serie B alla Serie A, vincendo il campionato. Mi hanno chiesto di vincere in tre anni e l’ho fatto in uno. Con me c’era uno staff di grandi professionisti, ma anche grandi amici. Molti pensano che il calcio non esista fuori dall’Italia, ma non è così. A livello tecnico la squadra che ho allenato in Cina era superiore a tante squadre che ho visto in Serie B con il Benevento. L’esperienza mi ha aiutato a capire come gestire grandi campioni come Pato, Witsel, Paulinho, e a confrontarmi con grandi allenatori come Scolari, Capello, Villas Boas. Era il calcio vero e a volte mi stupisco quando dicono che mi manca un po’ di esperienza, ma alleno ormai da dieci anni.i”, ha continuato l’ex giocatore del Napoli nel suo intervento a Legends.

Allenare il Napoli? È una squadra talmente forte che chiunque vorrebbe farcela. Il Napoli ha grandi campioni e quello che stiamo vedendo quest’anno non è vero. Credo che ci sia stata questa involuzione non per gli aspetti tecnici, ma per tutto quello che ruota intorno alla squadra. Avrei accettato di fare il traghettatore? Sono un allenatore ed è normale che io voglia allenare. E per il Napoli sarei disposto a farlo anche gratis. Parliamo di una squadra che è il sogno di tanti allenatori. Credo però che l’assenza del mio nome tra i 50 candidati vagliati da De Laurentiis per la panchina del Napoli post Garcia sia irrilevante ai fini dell’esperienza. La fase difensiva del Napoli? Nel corso delle partite sono stati commessi tanti errori, ma per migliorare la fase difensiva è necessario lavorare settimanalmente su alcuni concetti importanti, il primo dei quali è senza dubbio rubare tempo e spazio all’avversario. Ma il problema principale della squadra è che quest’anno ha cambiato troppi allenatori ei giocatori hanno dovuto assimilare troppi concetti diversi. Ci sarà sicuramente confusione. Zona o uomo? La cosa più importante è saper difendere la porta“.

Molte persone non rispettano l’esperienza che ho avuto in Cina, ma io voglio allenare. Non credo che un’esperienza negativa come quella di Benevento possa interrompere la mia carriera. È questione di tempo e so dove voglio andare. Ho la testa dura e so quello che voglio. Ancora oggi, a due anni dal mio ritorno in Italia, studio, mi aggiorno, perché so che voglio fare questo. Il calcio al giorno d’oggi cambia ogni anno e non puoi farti trovare impreparato. Prima era ogni 5-6, ma oggi è cambiato e quindi dobbiamo aggiornarci. L’esperienza, seppur negativa, a Benevento mi ha aiutato molto a capire un certo tipo di calcio a cui non ero abituato. Ma soprattutto ho creato un rapporto con i giocatori che ancora oggi mi scrivono, mi scoprono, vogliono sapere quando tornerò. Tutto serve a creare un bagaglio personale, come è successo a Dubai, in Arabia Saudita“.

Lippi è l’allenatore che ha influenzato di più la mia carriera. Pur essendo un tecnico formatosi negli anni 90, faceva già quello di cui oggi tutti parlano e quello che tutti cercano di fare. È sempre stato un allenatore moderno, che mi ha insegnato molto anche nella gestione fuori dal campo, dove c’è una squadra invisibile, importante quanto quella che gioca. L’intero ambiente esterno influenza i giocatori. Se non si riesce a gestire la comunicazione, i fisioterapisti, le segretarie, tutti coloro che lavorano all’interno di un team, diventa un ambiente che si smantella alla prima difficoltà. Investire nelle giovanili oggi? Sfortunatamente, farlo non è facile. A volte è più facile andare a spendere soldi per un giovane cresciuto altrove quando è già istruito. È un peccato perché le statistiche dicono che i giocatori nati in Campano, come nel Lazio, sono quelle che danno il maggior contributo alle squadre delle serie minori. Ma è una questione di strategia. Creare un settore giovanile solo per sopravvivere non ha senso. Dovrebbe essere fatto come quello del Barcellona“, ha continuato il capitano Campione del Mondo con l’Italia 2006.

Signor Scarpitti? Per me è il professor Scarpitti. Lei è stata tra coloro che sono riusciti a farmi entrare a scuola con passione. È stato il primo a portarmi prima al Centro Paradiso e poi all’Italsider, ma anche il primo allenatore del settore giovanile. Da cui poi sono passato con De Lella, prima del salto in prima squadra. Fu lui a portarmi a giocare quella partitella all’allora San Paolo il giorno del primo di campionato. Sono il raccattapalle di Maradona? In realtà Diego non ha tirato fuori le palle, lo hanno fatto gli altri (ride ndr). Sono cresciuto a 300 metri dallo stadio e per me quella era casa. Alla minima occasione andavo lì e cercavo di avvicinarmi ai giocatori, di cui ho tanti ricordi. Per crescere e passare da quello che ero allora, il contributo dei miei genitori è stato fondamentale. Mio padre non ha mai detto niente né a me né a Paolo. Giusto per comportarsi sempre bene, rispettare l’allenatore e i compagni. Anche quando non giocavo non si lamentava mai con nessuno. Conosceva le dinamiche che esistono intorno al calcio. Molte volte un genitore non si rende conto che un giovane può sbagliare, che magari non gioca perché c’è qualcuno più bravo o semplicemente più pronto. I genitori dovrebbero riflettere un po’ di più su come certe azioni non siano buone per i loro figli.

Il mio ruolo? Inizialmente giocavo centrocampista centrale, ma mister Scarpitti e De Lella mi hanno aiutato a capire come fossi più adatto come difensore centrale. Ci vuole fortuna anche in questo, nel trovare persone che ti aiutino ad esprimerti al meglio. E qualche soddisfazione nella mia carriera l’ho ottenuta. La strada mi ha insegnato molto e quello che ho imparato l’ho sempre riportato sul campo. Sii veloce, ma rispetta il tuo compagno di squadra così come il tuo avversario. Quando ho potuto ne ho calciate qualcuna, ma forse una volta era più facile, perché c’erano meno telecamere. Purtroppo si è persa un po’ la bellezza di prima, ma non perché preferissimo battere un attaccante, anche perché non solo davo, ma anche prendevo, ma perché prima era un calcio più fisico, mentre oggi è stato reso più spettacolare , perdendo qualcosa della sua autenticità. Si vedono tanti gol, ma anche tanti errori. Ecco perché non c’è paragone tra Maradona e gli altri, Messi, Ronaldo, perché nessuno ha sofferto quello che ha sofferto Diego. Diego è stato molto importante per me, perché mi ha fatto capire che i sogni possono diventare realtà e grazie a lui la mia infanzia è stata felice.“.

Cannavaro ha raccontato anche i dettagli del suo addio al Napoli.La mia vendita per 13 miliardi? Dovevamo raccogliere fondi. Avevo realizzato il mio sogno, ero titolare del Napoli, stavo bene. Ma già da un paio d’anni c’erano stati dei problemi e io ero l’ultimo rimasto a raccogliere fondi. La società mi ha chiamato dicendomi che sarei dovuto andare a Milano per firmare con l’Inter. Evidentemente il presidente si sarà fermato a Parma nel suo tragitto per ottenere qualcosa in più da Tanzi. Fu proprio Ferlaino a chiamarmi e a dirmi che se non avessi firmato la società sarebbe fallita e la colpa sarebbe stata mia. Quelle parole pesarono molto per un ragazzo di vent’anni. Avevo il sogno di diventare una stella come Bruscolotti e Juliano, ma purtroppo quella società non aveva modo di far crescere un giovane. Sono rimasto deluso, ma col tempo ho capito che andare al Parma per me era la cosa migliore. Non ero ancora un fenomeno, ma sono cresciuto con l’impegno quotidiano. Lì come in qualsiasi altro club. All’Inter, alla Juve, al Real, fino alla Nazionale. Ho giocato quasi 900 partite da professionista, di cui 136 con la maglia dell’Italia. E questa è sempre stata una grande soddisfazione. La partita contro la Germania del 2006 è forse quella che mi valse il Pallone d’Oro. Una prestazione praticamente perfetta. Con la Francia c’era un po’ più di paura. Quando Zidane è andato via eravamo stanchi, lo sentivo negli occhi dei miei compagni, avevamo paura, in fondo avevamo già perso contro i francesi, quindi quell’espulsione devo ammettere che ci è stata di grande aiuto. Dopo il Mondiale, quando siamo arrivati ​​al Circo Massimo, ho incontrato mio padre e gli ho mostrato la coppa che avevo in valigia e lui si è emozionato. La differenza tra un giocatore normale e uno che vince un Mondiale è che il primo può essere un grande campione, ma uno che vince un Mondiale diventa una leggenda. Il gruppo del 2006? Credo che nessuno abbia pensato di diventare allenatore. Quando abbiamo vinto ho chiesto alla FIGC le licenze per tutti. All’epoca dissero di no, ma poi ci è stata data la possibilità di unire i primi due corsi e tutti gli allenatori di oggi, da De Rossi a Gilardino, a Pirlo, Grosso e gli altri, sono figli di quella mia idea.“.

Il Centro Paradiso? L’idea viene da lontano. Mi è venuta qualche anno fa e l’ho portata avanti silenziosamente. Dopo mesi passati a sistemare tutto, ora stiamo cercando di capire cosa fare. Vorrei restaurare il campo da calcio e gli spogliatoi, cercando di riportare in vita i tre edifici. E’ una struttura grande e ci sarà da lavorare, ma voglio mantenere le 17 camere in cui hanno dormito i campioni d’Italia, lavorando però su punti che rendano la struttura viva e moderna. Dobbiamo inventare qualcosa, ma non è facile. Al di là dell’investimento, è qualcosa che deve sostenersi, perché dovrà restare in vita per cento anni e non chiudere mai più. La mia idea è quella di farne un settore giovanile di una scuola o accademia calcio, portando un gran numero di ragazzi. Questo è il progetto e spero di portarlo a termine perché ritengo giusto restituirlo al territorio di un quartiere difficile, ma che, riqualificando il Centro Paradiso, potrà trarne beneficio. E del resto, ogni giorno, sono tante le persone che mi chiedono quando riaprirà, tutti convinti che fosse troppo triste vederlo così ridotto ormai a“, ha continuato Cannavaro.

La ripresa del campionato? Prima e dopo le nazionali ci sono sempre le gare più difficili. IL Napoli hanno vissuto l’anomalia di non avere un allenatore oltre ai tanti giocatori partiti per giocare in giro per il mondo durante la sosta, ma se vogliono provare ad accorciare la classifica hanno l’obbligo di battere l’Atalanta. E’ l’ultima chiamata per tornare in corsa per la Champions League. Fondamentale l’aspetto psicologico dopo gli impegni con la Nazionale. Devi essere bravo a ricaricare le batterie e non sempre ci riesci“. Infine, ha concluso Cannavaro.

 
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