gli chef under 35 da tenere d’occhio nel 2024 – .

“Largo ai giovani”. Da uno Firenze Sempre più in fermento emerge un motto ben preciso su quale sia la strada da seguire nel tentativo di farlo modernizzare il sistema di ristorazione, portandoti nuovi spunti, nuove idee, magari anche qualche peccato giovanile, ma comunque sempre una gran voglia di provare a cambiare le cose. Per il meglio.

Prendendo a prestito il titolo del celebre romanzo di Jean Cocteau (1929), ce ne sono almeno cinque “I bambini terribili” dei ristoranti fiorentini che stanno facendo parlare di sé in Toscana e non solo. Cinque chef, tutti under 35, accomunati da una grande voglia di arrivare lontano, ma anche con una lunga strada alle spalle, e soprattutto un nobile obiettivo: costruire sempre più la propria identità e il proprio percorso, portando idee in giro e mantenendole chiare al momento. allo stesso tempo qual è il loro obiettivo. Ecco i cinque giovani chef da guardare all’ombra del Duomo.

Simone Caponnetto – Locale Firenze

Il fiorentino Simone Caponnetto è ilExecutive Chef del Locale Firenze. Classe 1990, lascia l’Italia dopo la laurea e trascorre dieci lunghi anni viaggiando tra America, Australia, Giappone, Italia, Francia, India, Sud-Est asiatico e Spagna, lavorando inizialmente nelle cucine per finanziare i suoi viaggi. È stato solo quando ha avuto l’opportunità di lavorare in un raffinato ristorante a Sydney che il suo interesse per la cucina si è rafforzato. Continuando a viaggiare, iniziò a collegare il patrimonio e la cultura dei paesi che visitava con il cibo, sfruttando queste opportunità per lavorare con alcune delle figure più importanti del mondo gastronomico, in primis Andoni Luis Aduriz di Mugaritz, due Michelin ristorante stellato a Errenteria (Gipuzkoa).

Nel 2019 torna a Firenze e, nel 2021, viene scelto per guidare la cucina di Locale Firenze, ristorante situato all’interno dello splendido Palazzo Concini che risale, in parte, al XIII secolo. I suoi ingredienti non sono solo italiani ma, dove possibile, prettamente toscani, molti dei quali raccolti nell’orto di uno dei suoi amici d’infanzia. La sua firma? Risoni con fegatini di seppia e pomodorini, un inno all’armonia delle consistenze, dei contrasti e dell’equilibrio complessivo. Armonia è anche la parola giusta per descrivere l’animella di agnello e topinambur, un piatto solitamente difficile a cui Simone però fa una dolce carezza, compensando gli schiaffi sferrati da portate più ardite come il raviolo bugiardo, ovvero una pasta fresca fintamente ripiena, che crea l’illusione del ripieno ed è accompagnato da tartare di capretto, spuma di toma di capra, fonduta di taleggio di capra, brodo di capretto e senape selvatica. Due i menù degustazione proposti al ristorante: “Salvezza” E “Peccato”rispettivamente da 120 e 150 euro, con a Divertiamocient quale piatto dopo piatto porta gli ospiti dall’Inferno al Paradiso e ritorno.

Ariel Hagen – Saporium

Seguendo la filosofia di Borgo Santo Pietro Saporium, fondata sui principi dell’ biodiversità e agricoltura rigenerativa, Saporium Firenze è nato da pochi mesi ma ha già ottenuto una stella rossa e una stella verde. La sua fiorente fattoria biologica, i giardini culinari e di erbe aromatiche e il caseificio artigianale forniscono l’ispirazione fondamentale e gli ingredienti più pregiati, selezionati manualmente per accompagnare gli ospiti in un viaggio sensoriale, in onore del suo “dalla fattoria al piatto”. A dirigere le due orchestre, tra Chiusdino e Firenze, è il fiorentino classe ’93 Ariel Hagen, leader di una valida squadra che comprende il mastro giardiniere, il raccoglitore, il casaro, il fornaio, il fermentatore, il macellaio, il ristoratore direttore e sommelier. Il concept del menù, profondamente radicato nella tenuta e nel suo territorio, è proprio quello di condividere con gli ospiti la bellezza del gusto e la ricca complessità di ogni stagione, utilizzando esclusivamente materie prime provenienti da Borgo Santo Pietro.

Dopo essersi addestrato alla corte di mostri sacri come Norbert Niederkofler e Gaetano Trovato, Ariel ha portato alle Rampe del Poggi una cucina altamente tecnica ispirata ad un concetto ben definito. Un esempio sono le sue Lumache, coltivate proprio tra Colle Val d’Elsa e la struttura: su una finta terra commestibile ricreata con farine di carruba e burro di cacao, le lumache escono dal terreno invernale, amalgamandosi bene con aglio bianco, caffè e Carciofi di Gerusalemme. Un autentico must è il Piccione, già cavallo di battaglia di Gaetano Trovato, che al Saporium cambia costantemente volto senza mai perdere la propria identità.

I quattro menù degustazione Si tratta quindi di veri e propri viaggi, in cui lo chef prende per mano i suoi commensali, portandoli non solo metaforicamente all’origine del piatto, alla fonte primaria del pasto: “Proiezioni territoriali”, “Pes-care” (menu di mare ), “Profondità Vegetali”, il tutto da 170 euro, oltre a “Libera espressione”, un menù di dieci portate al prezzo di 215 euro in cui Ariel Hagen si racconta su una tela bianca che si svela solo a partire dal corso fare corso. Ciò che li accomuna tutti è l’iconico riso Carnaroli di San Massimo, cavolo nero, kefir di pecora e limone macerato.

Alessandro Cozzolino – La Loggia di Villa San Michele

Originario di Caserta, Alessandro Cozzolino, classe 1989, si è formato in livello internazionale con numerosi chef stellati fino ad arrivare alla guida del suggestivo ristorante La Loggia di Villa San Michele, A Belmond Hotel. Il suo maestro principale ha un nome e cognome ben preciso: Gaetano Trovato. È proprio con il guru della ristorazione senese che per la prima volta, all’età di 21 anni, Alessandro va a cucinare a Hong Kong. Nell’isola cinese resta quattro anni, alla guida del ristorante Grissini del Grand Hotel Hyatt, accumulando esperienza per poi approdare sulla collina di Fiesole. Unendo il suo intuito al gusto personale e alle competenze affinate, l’essenza della sua cucina oggi è un’attenta cura di piatti in cui gusto ed estetica dialogano in armonia.

Attenzione al terroir locale e alla stagionalità, ingredienti accuratamente selezionati provenienti dalla terra e dal mare della Toscana e preparati con tecniche che ne preservano la freschezza e la genuinità danno vita a piatti d’autore come i Bischeri, preparati con pasta bischeri con cacciucco livornese, seppie grossetane, Gamberi di Viareggio, oppure Carnaroli in purezza con peperoni tostati, maialino grigio del Casentino e finocchio. La proposta di Cozzolino forse non ha velleità rivoluzionarie, ma tuttavia un’anima fusion percepibile che ben collega la Campania che l’ha cresciuta, la Toscana che l’ha adottata e Hong Kong che l’ha vista sbocciare. Lo si vede perfettamente da “Legami”, il suo menù autobiografico a 190 euro, in alternativa a “Contrasti”, menù ispirato a Firenze a 160 euro, e “Sensualità Vegetale”, menù vegetariano che rende omaggio ai produttori locali a 140. euro. Tre percorsi che non sfigurano di certo la bellezza della città, che si può apprezzare come in pochi altri posti proprio dalla terrazza de La Loggia.

Olivia Cappelletti (e Tommaso Querini) – Di Luca

La Firenze di Olivia Cappelletti Lucas

Olivia Cappelletti e Tommaso Querini, entrambi classe ’89: segnatevi (anche) questi due nomi. Se gli chef sopra citati sono ormai tre volti noti in città e non solo, queste new entry hanno anche il potenziale per scrivere una bella pagina sulla ristorazione fiorentina. Lo scorso anno Olivia e Tommaso sono stati infatti scelti dal rinomato chef Paulo Airaudo (attualmente Executive Chef della struttura e di tante altre realtà nel mondo) per entrare a far parte del progetto del Gemma Hotel e del ristorante Luca’s, dove interpretano il ruolo insieme da Resident Chef. Lui è stato ex Sous Chef de La Leggenda dei Frati, ma ha scelto la strada della cucina per passione dopo aver intrapreso studi da geometra prima e poi da giurisprudenza, poi interrotti per frequentare il corso professionale per pasticceri presso Cast Alimenti di Brescia.

Tra le precedenti esperienze di Olivia c’è la Bottega del Buon Caffè, dove ha fatto parte del team che le è valso la stella Michelin e soprattutto dove ha conosciuto il suo “maestro” Airaudo. Tu e Paulo avete lavorato due anni a Ginevra, aprendo due locali e ottenendo un’altra stella in pochi mesi. Rientrata in Italia, lavora per qualche anno come pasticcere presso La Ménagère e poi ancora presso la Bottega del Buon Caffè, fino al ristorante gioiello del nuovo albergo aperto dai cinque fratelli fiorentini Cecchi. Dedicato al padre Luca Cecchi, purtroppo scomparso, Luca’s è un ristorante dalla forte impronta internazionale, che parte però dalla Toscana come si evince dalla firma più deliziosa del menu: il Cappelletto fatto in casa ripieno di piccione, salsa al burro al timo e brodo di piccione . Un insieme di semplicità, tecnica e gusto, proprio come nel caso del più avventuroso ma altrettanto convincente Flan di caprino, prugne, cialde d’avena e miele. Nel menu troviamo un percorso degustazione in quattro portate, “La Gemma” a 115 euro, oppure in dieci portate a 190 euro sotto il nome di “Smeraldo”, in cui Olivia e Tommaso coccolano i loro ospiti con colori, piatti e ricette che sembrano melodie.

Francys Salazar – Sevi

Francys Salazar Sevi Firenze

Un po’ orientale, un po’ sudamericana: Sevi, il ristorante nikkei della chef Francys Salazar, classe 1992, e della sua compagna Jhoseleen Condori, è nato nel 2022 in un piccolo quartiere di Novoli per poi trasferirsi a San Jacopino e accontentare un pubblico più ampio, riuscendo ad entrare nel mercato in meno di due anni. nel cuore e – cosa ancora più difficile vista la cucina che propone – nella vita quotidiana dei fiorentini. Grazie ai suoi piatti nuovi e innovativi, che partendo dai sapori tipici del Perù e dal classico ceviche (in assoluto il migliore di Firenze) portano i commensali fino all’Estremo Oriente. Le ricette di Francys sorprendono per l’equilibrio con cui ogni ingrediente si inserisce tra gli altri, aumentandone o contrastandone potenza, acidità e sapidità al palato anche attraverso un sapiente uso di salse e spezie. I piatti forti della casa? Proprio il tradizionale Ceviche (pescato del giorno, leche de tigre, aji limo, coriandolo, cancha, choclo, purea di patate dolci e cipolla marinata), i deliziosi tacos ripieni di petto cotto lentamente e la consistenza del tiradito (leche de tigre aji amarillo, polpo in tempura, avocado, leche de tigre air).

Ma cosa c’entra un ristorante etnico con alcuni dei principali ristoranti d’albergo o addirittura con uno stellato?“, si potrebbe pensare a questo punto dell’articolo. L’errore è concettuale, proprio all’inizio del tuo possibile ragionamento. Sevi non è, o almeno non è più, a semplice ristorante etnico, ma un centro di sperimentazione che dopo mille sacrifici e non senza difficoltà è riuscito a creare un’accattivante proposta di fine dining. Ha debuttato nei giorni scorsi, non è un caso, il primo menù degustazione a 70 euro, con Pisco Sour e vini peruviani/latinoamericani abbinati a otto portate: l’obiettivo è portare la versione “alta” di una cucina, quella peruviana, che almeno in Italia siamo purtroppo abituati a vedere come qualcosa di unto, pesante e poco valore. Lontano da esso. Sevi è in tutt’altra categoria, ovviamente anche in termini di ambiente e servizio.

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

PREV COMUNITÀ EUROPEE: GEMMA (FDI-ECR), “CONFERENZA DI PESCARA UN’OCCASIONE PER SOTTOLINEARE L’AZIONE DI GOVERNO”
NEXT Visita guidata alla mostra “A tutto Kafka” a San Giorgio – .