La risoluzione delle Nazioni Unite sul cessate il fuoco e i suoi effetti su Israele e Hamas – .

La risoluzione delle Nazioni Unite sul cessate il fuoco e i suoi effetti su Israele e Hamas – .
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Con quattordici voti favorevoli e l’astensione degli Stati Uniti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato il 25 marzo 2024 una risoluzione che chiede un cessate il fuoco temporaneo nel conflitto tra Israele e Hamas, iniziato in seguito agli attentati del 7 ottobre 2023. Dopo mesi di situazione di stallo a causa dei veti incrociati dei membri permanenti del Consiglio (tre veti statunitensi e due veti di Cina e Russia), si è finalmente trovato un accordo sulla base di un testo proposto dai dieci membri non permanenti del Consiglio e presentato da Mozambico.

Il testo della Risoluzione 2728 (2024), molto breve, impone “a tutte le parti in conflitto di cessare le ostilità con effetto immediato per il mese di Ramadan”, in vista di una successiva risoluzione definitiva del conflitto attraverso il negoziato. Si chiede inoltre “il rilascio incondizionato degli ostaggi” e che tutte le parti in conflitto rispettino i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario. Tali richieste non sono collegate tra loro da un vincolo di condizionalità.

Il testo rappresenta un compromesso tra le diverse proposte precedentemente avanzate dai diversi soggetti coinvolti, con l’intento di conferire carattere più o meno vincolante al meccanismo di risoluzione. Gli Stati Uniti, preoccupati per le possibili conseguenze sui negoziati in corso, avevano precedentemente proposto una formulazione più ambigua che sottolineasse “l’imperativo di un cessate il fuoco immediato e duraturo”, senza una richiesta esplicita rivolta al Consiglio. D’altro canto la Russia aveva invece chiesto che il cessate il fuoco fosse “permanente” e non limitato al periodo delle festività religiose, ma questo emendamento non è stato accolto.

Il testo della risoluzione non menziona espressamente gli attentati del 7 ottobre né le responsabilità di Hamas, come auspicato da Israele. Piuttosto, condanna ampiamente “tutti gli attacchi contro i civili […] e tutti gli atti di terrorismo”. Ciò ha portato l’ambasciatore e rappresentante permanente di Israele presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, a definire l’adozione della risoluzione “una vergogna”.

La risoluzione è vincolante per Israele?

La risoluzione ha suscitato reazioni contrastanti. L’ambasciatore algerino ha affermato che questo potrebbe essere il primo passo per porre fine al “bagno di sangue” in corso a Gaza. Gli Stati Uniti, pur non opporsi alla sua adozione – il che lascia intendere un certo malcontento da parte dell’amministrazione Biden nei confronti delle attuali politiche militari israeliane – hanno subito dichiarato di non considerarla vincolante. Per protesta, Israele ha recentemente annunciato il suo ritiro dai colloqui in corso in Qatar, e il ministro degli Esteri Israel Katz ha affermato che il paese non darà seguito all’ordine di cessate il fuoco.

Sebbene sia ragionevole aspettarsi che gli Stati rispettino le decisioni del Consiglio – dato che il Consiglio agisce per proteggere la pace e la sicurezza comune – è tecnicamente complesso stabilire se le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza siano giuridicamente vincolanti. Secondo parte della dottrina internazionalista, le uniche disposizioni della Carta che consentirebbero l’adozione di decisioni vincolanti sarebbero gli articoli 41 e 42, che consentono l’adozione di misure coercitive, di carattere sanzionatorio (articolo 41), o di carattere militare (articolo 42), nei casi di minaccia alla pace internazionale o di sue violazioni. La Risoluzione 2728 (2024) – probabilmente in virtù della sua natura di compromesso – non contiene alcun riferimento alla base giuridica su cui è stata adottata, per cui è difficile individuarne l’esatta base nella Carta. Non sembrano trattarsi degli articoli 41 e 42, perché il Consiglio non ha formalmente accertato, come richiederebbe preliminarmente l’articolo 39 della Carta, l’esistenza di una minaccia alla pace o di una violazione della stessa.

Nella pratica delle Nazioni Unite, un “cessate il fuoco” è generalmente considerato una “misura provvisoria” ai sensi dell’articolo 40 della Carta, vale a dire una misura temporanea che il Consiglio può adottare allo scopo di prevenire l’escalation del conflitto. In questa ipotesi rientrerebbe la risoluzione 2728, che prevede un cessate il fuoco temporaneo e contiene riferimenti a tentativi di negoziato in corso. Solitamente, però, si ritiene che le misure provvisorie non abbiano carattere vincolante, ed infatti l’articolo 40 parla di un “invito” che il Consiglio può rivolgere alle parti in conflitto e precisa che, in caso di inosservanza, il Consiglio ne terrà “debitamente conto”.

Coloro che sostengono che tutte le decisioni del Consiglio sono vincolanti si basano sul significato letterale dell’articolo 25 della Carta, che impone agli Stati membri un obbligo generale di osservare e attuare le decisioni del Consiglio di Sicurezza. Questa interpretazione è stata avallata anche dalla Corte internazionale di giustizia (parere consultivo del 1971 sulle conseguenze legali della presenza continuata del Sudafrica in Namibia, qui, par. 113).

Va sottolineato che una delibera del Consiglio può avere sia un contenuto decisivo (decisioni) sia un contenuto più meramente esortativo (raccomandazioni) e che solo il primo sarà considerato vincolante. La Corte internazionale di giustizia ha statuito che il carattere vincolante di una risoluzione deve essere valutato in funzione delle circostanze, del linguaggio utilizzato, delle discussioni tra i membri del Consiglio e delle disposizioni della Carta invocate (Parere consultivo sulla Namibia, 1971, par. 114).

Se si osserva il linguaggio utilizzato nella risoluzione 2728, è difficile credere che non si tratti di un ordine vero e proprio. Certamente il verbo “richiesta” (“richiesta” in una traduzione approssimativa) non sembra meramente esortativo. Inoltre, il “cessate il fuoco” viene indicato con una rivendicazione di immediatezza e si riferisce ad un periodo di tempo limitato, il mese del Ramadan. Dato che le festività religiose sono ancora in corso, se la misura fosse considerata una raccomandazione, la risoluzione 2728 molto probabilmente sarebbe priva di ogni effetto utile.

D’altro canto, se il Consiglio avesse voluto formulare un invito o una raccomandazione, avrebbe potuto utilizzare un linguaggio diverso. Ad esempio, il cessate il fuoco nel conflitto israelo-palestinese del 2006 fu richiesto con formule come “richiede” (Delibera 1701/2006).

Formulazioni simili a quella della delibera 2728 sono state utilizzate in altre delibere ritenute vincolanti. Ad esempio, la risoluzione 598/1987, che richiedeva un cessate il fuoco immediato tra Iran e Iraq, utilizzava il termine “richieste” (“richieste”).Richieste che, come primo passo verso una soluzione negoziata, la Repubblica Islamica dell’Iran e l’Iraq osservino un immediato cessate il fuoco”), ed è stato considerato vincolante da numerosi Stati (qui, pp. 16, 21-22, 27-28), dall’allora Presidente del Consiglio di Sicurezza (qui), e dallo stesso Iraq (vedi Doc. S/19045 del 14/08/1987), nonché accettato incondizionatamente dall’Iran (vedi Doc. S/20094 del 08 /08/ 1988). Lo stesso termine fu utilizzato nella risoluzione 660 del 1990, che richiedeva il ritiro delle truppe irachene in seguito all’invasione del Kuwait.

Alcuni studiosi ritengono che si possa parlare di decisione in senso proprio solo quando il Concilio utilizza termini come “decide”. Tuttavia, in passato, le decisioni utilizzavano termini più esortativi, come “invita” (ad esempio Risoluzione 269/1969 e Risoluzione 276/1970, sul punto si veda il Parere consultivo sulla Namibia della Corte internazionale di giustizia, 1971, par. 115).

Al momento, in risposta alla posizione americana, alcuni stati tra cui Cina, Russia, Sierra Leone, Francia e Algeria hanno chiarito che considerano la risoluzione vincolante. In virtù di tutti questi elementi si può sostenere che Israele debba ottemperare alle richieste del Consiglio di Sicurezza e rispettare l’ordine di cessate il fuoco. Una violazione delle disposizioni della risoluzione comporta una violazione degli obblighi assunti da Israele attraverso la partecipazione alle Nazioni Unite e, in definitiva, una violazione del diritto internazionale.

Dal punto di vista giuridico, ciò potrebbe comportare possibili comportamenti ritorsionistici e sanzionatori da parte di altri Stati, nonché l’adozione di misure sanzionatorie da parte degli organismi delle Nazioni Unite. Da un punto di vista politico, il mancato rispetto della risoluzione da parte di Israele potrebbe aumentare il suo isolamento sulla scena internazionale e di conseguenza allontanarlo dagli attuali alleati. Inoltre, solleverebbe dubbi sulla legittimità delle sue operazioni militari e dei loro obiettivi, considerando che finora sono state giustificate come operazioni di autodifesa (articolo 51 Carta delle Nazioni Unite).

Si ricorda, a questo proposito, che il termine entro il quale Israele deve presentare il rapporto sull’attuazione delle misure provvisorie indicate dalla Corte Internazionale di Giustizia nel ricorso proposto dal Sud Africa per le presunte violazioni della Convenzione per la Prevenzione e la Punizione di il crimine di genocidio. La relazione è stata inviata ma al momento non è pubblica.

La risoluzione è vincolante anche per Hamas?

Una questione leggermente diversa è se la risoluzione sia vincolante anche per Hamas, dato che Hamas non può essere considerato uno stato ai sensi della Carta delle Nazioni Unite. Come accennato in precedenza, l’articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite stabilisce l’obbligo di rispettare le decisioni del Consiglio di Sicurezza solo per gli Stati membri.

Tuttavia, è ampiamente accettato che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza possano riguardare anche Stati non membri dell’ONU e attori non statali. A differenza delle sentenze della Corte Internazionale di Giustizia, che sono vincolanti solo per le parti coinvolte nel procedimento (inevitabilmente gli Stati), le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non incontrano questo limite, in considerazione della natura speciale della Carta delle Nazioni Unite.

In numerose occasioni il Consiglio si è rivolto anche ad attori che non sono strettamente considerati Stati, richiedendo loro il rispetto degli obblighi internazionali. Ad esempio, la Risoluzione 814/1993 e la Risoluzione 1474/2003 sui conflitti in Somalia affrontavano rispettivamente anche “movimenti e fazioni” e “altri attori”, mentre la Risoluzione 1160/1998, adottata durante il conflitto in Kosovo, si rivolgeva anche ai “La leadership albanese del Kosovo”. Pertanto, nella parte in cui la Risoluzione 2728 ordina un cessate il fuoco a tutte le parti coinvolte nel conflitto (“an immediate cessate il fuoco […] rispettato da tutti i partiti”), il Consiglio di Sicurezza si rivolge inequivocabilmente anche ad Hamas, con presunti effetti vincolanti. D’altro canto, ancora una volta, se avesse voluto, il Consiglio avrebbe potuto utilizzare una formulazione diversa.

 
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