Se l’Albania sfida oggi l’Italia a Euro 2024 è anche grazie all’Italia – .

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De Biasi, Panucci, Reja e altro ancora. Il regime comunista ha impedito per decenni al movimento calcistico di crescere, ma dagli anni ’90 la collaborazione tra la nostra Federcalcio e quella albanese ha portato risultati inimmaginabili. Fino a stasera

Giocatori e tifosi dell’Albania festeggiano la qualificazione a Euro 2024 dopo la partita contro la Moldavia del 17 novembre (foto Ansa)

Il problema del successo è che viene costantemente frainteso. Perché finiamo sempre per assolutizzare un’idea che andrebbe relativizzata il più possibile. Ne sa qualcosa l’Albania, Paese di meno di tre milioni di abitanti che si prepara a festeggiare la sua seconda partecipazione all’Aeuropeo come un piccolo successo nazionale. E poco importa se le speranze di superare un girone formato da Italia, Spagna e Croazia sono ridotte al minimo. Ciò che conta è semplicemente esserci, sottolineare lo sviluppo di un movimento che per troppo tempo è stato compresso, emarginato e abbandonato. Una crescita costante che ha trovato la forza di non esaurirsi dopo la qualificazione a Euro 2016, ma di guardare avanti. Grazie anche all’Italia.

L’Albania comunista e le origini del calcio a Tirana

Perché dietro l’esplosione del pallone albanese c’è tanto competenza e della tradizione calcistica italiana. D’altra parte, per quattro decenni il calcio a Shqiperia era stato qualcosa di molto vicino ad un affare privato. Enver Hoxha, il Guardiano del Popolo, si era posto a capo del più piccolo Stato dell’orbita sovietica e lo aveva trasformato in una nazione decisamente arrabbiata. Bastava poco per scatenare la rabbia del dittatore. Non potevi ascoltare la radio. Non potresti possedere una bicicletta, figuriamoci un’auto. Le canzoni occidentali non potevano essere canticchiate. I capelli lunghi, simbolo di libertà, non potevano essere indossati. Infatti, le uniche acconciature consentite erano quelle stabilite dai parrucchieri dell’amministrazione statale.

La festa è stata decisamente invasiva. Stabilì quali lavori poteva svolgere ciascun cittadino e organizzò i matrimoni. Coloro che resistettero furono mandati nei campi di lavoro. Ed è qui che le cose sono diventate piuttosto complesse. Le sanzioni furono dure. Un uomo è stato condannato a dieci anni solo per essere stato il primo a sedersi dopo una manifestazione di Hoxha. Gli oppositori politici venivano rinchiusi in celle troppo corte per stare in piedi e troppo corte per sdraiarsi. Quindi ogni tanto qualcuno cominciava a correre verso le barriere di filo spinato solo per essere colpito dalle guardie. È in questo contesto di controllo e paura che si è sviluppato il calcio albanese.

Si gioca solo contro avversari comunisti

Come nella migliore tradizione orientale, la polizia segreta creava una squadra (Dinàmo), l’esercito un’altra (Partizani), spartindosi i migliori giocatori e quindi titoli e successi. La Nazionale poteva giocare solo contro squadre del blocco sovietico e le partite in trasferta erano disapprovate. Meglio evitare fughe di calciatori e dover incontrare stati capitalisti. La situazione cambiò nel 1953, con la morte di Stalin, punto di riferimento di Hoxha. Il leader albanese vedeva il revisionismo di Krusciov come una blasfemia gridata attraverso le navate di una chiesa. Così vennero bloccate anche le amichevoli contro l’Unione Sovietica.

Poi, con la rottura delle relazioni diplomatiche con l’URSS nel 1961, il suolo albanese tornò ad ospitare amichevoli e coppe continentali. Memorabile l’andata della Coppa dei Campioni del 1970, quando il 17 il Nëntori Tirana ospitò l’Ajax. I giocatori olandesi si sono rifiutati di presentarsi al barbiere che lo Stato aveva aperto all’aeroporto. Si è così trovato un accordo particolare. Ok a barbe e capelli lunghi, a patto che i giocatori dell’Ajax non dicano una parola ai colleghi. Qualcosa deve essere andato perso nella traduzione. La partita finì 2-2, ma i ragazzi dell’Ajax si lamentarono perché nessuno aveva detto loro una parola. Non sapevano che gli spalti erano pieni di agenti della polizia segreta pronti a sanzionare i trasgressori con 10 anni di carcere.

Il mito Italia e l’accordo tra la Federcalcio

Le cose cominciarono a cambiare con la fine del regime e l’inizio degli anni Novanta. L’Italia, il cui mito è stato alimentato anche dall’iniziativa dei condomini che spostavano di nascosto le antenne televisive per captare i programmi del Rai, diventa un centro di attrazione per l’emigrazione albanese. Arrivano a migliaia, convinti di poter sfruttare una certa vicinanza territoriale e culturale. I giocatori albanesi iniziano ad affacciarsi in Serie A. A cavallo del nuovo millennio, i tifosi italiani esultano per i gol di Bogdani e Tare, cantando i loro nomi. Dossena diventa allenatore della Nazionale delle Aquile. Ma è ancora troppo poco.

La vera svolta arriva nell’aprile del 2012. La FIGC e la Federcalcio albanese firmano un accordo di cooperazione calcistica. Gli azzurri metteranno a disposizione dei vicini le proprie competenze in campo tecnico e tattico, ma anche nella gestione delle infrastrutture e nella medicina sportiva. Verranno inoltre organizzate una serie di partite amichevoli. La prima, giocata nel novembre 2014 per raccogliere fondi a favore della popolazione di Genova colpita dall’alluvione, si è conclusa con la vittoria degli Azzurrini per 1-0, rete di Okaka.

Il miracolo di De Biasi e l’eredità di Panucci e Raja

Il riavvicinamento tra le due Federazioni non è casuale. Nel 2011 la Nazionale albanese fu affidata a Gianni De Biasi, a cui venne chiesto di aiutare l’Albania a qualificarsi per una competizione internazionale. Fantascienza. De Biasi lavora su due binari: cerca di stimolare i giocatori e convincerli che possono raggiungere obiettivi ambiziosi, poi pensa alla rosa. Molti albanesi all’estero hanno la doppia cittadinanza. Dobbiamo lavorare affinché scelgano l’aquila bicipite. De Biasi lavora così sullo scouting. Non c’è giocatore con doppio passaporto che non venga valutato. Alla fine accade davvero il miracolo. L’Albania si qualifica a Euro 2016. «In Albania mi guardano come se fossi un guaritore» dice De Biasi. Il sistema funziona.

Dopo l’addio dell’allenatore sono stati ingaggiati prima Panucci e poi Reja. E la loro eredità è ancora presente. Lo stesso Sylvinho, il nuovo selezionatore, ha ammesso che la sua formazione è avvenuta in Italia, con Ulivieri. Ma nello staff rossonero c’è anche Alarico Rossi, 38enne toscano arrivato sette anni fa come match analyze e che ora ha messo a punto un algoritmo per la selezione dei giocatori.

Ecco perché la partita di stasera ha un valore particolare. E’ come se due nazioni diverse si giocassero un derby. D’altronde nel 2019 lo aveva detto il sindaco di Tirana Erion Veliaj Limes: «Molti considerano l’Albania una provincia italiana contrapposta alla Puglia. Dicono che non si può scegliere il prossimo: credo che, anche se avessimo potuto scegliere, non avremmo potuto scegliere un vicino migliore dell’Italia”.

 
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